I Trattamenti Degli Zaffiri | Rare diamonds, gems, jewelry, gemology and crypto payments
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Nel Blu Dipinto di Blu: gli Zaffiri e i loro Trattamenti

La parola zaffiro, quando non accompagnata da un colore, indica esclusivamente la varietà blu (dominante) del corindone. 

A differenza dei rubini o degli smeraldi che, per esempio, quando sono troppo chiari vengono classificati rispettivamente come zaffiri rosa o berilli verdi, nello zaffiro qualsiasi tonalità, dall’azzurro pallido a un blu reale molto carico viene inclusa sotto tale termine. 

Per quel che riguarda tutti gli altri colori del corindone, essi vengono specificati con la seguente nomenclatura:

Se blu, si chiama, appunto, zaffiro,

Se rosso, prende il nome di rubino.

Altri colori, vengono indicati come zaffiri fantasia/fancy ed indicati come: zaffiro verde, zaffiro rosa, zaffiro incolore, ecc., a seconda del colore dominante che li contraddistingue. 

Secondo alcuni sistemi di classificazione (e ne esistono molti), uno zaffiro (blu), per poter essere considerato tale, non deve mostrare oltre il 15% di tonalità secondarie. 

In altre parole, tali sfumature devono essere appena percettibili. 

Le pietre che mostrano tinte secondarie più evidenti dovrebbero essere classificate come zaffiri “color fantasia” ed essere valutate con una metrica differente.

Una volta fatta questa doverosa distinzione, bisogna anche spendere qualche parola sulla terminologia commerciale. 

Alcuni nomi o aggettivi specifici vengono utilizzati in maniera più o meno informale in gioielleria. 

Su di essi non esiste un accordo condiviso a livello internazionale. 

Lo zaffiro, più di ogni altra pietra, si caratterizza per l’abbondanza di aggettivi qualificativi che spesso ne influenzano il prezzo.

I colori del mercato:

Il colore di una gemma sfaccettata non è un aspetto semplicemente legato all’apparenza esteriore della stessa, ma è legato alla crescita del cristallo da cui essa viene ottenuta ed è influenzato anche da taglio, limpidezza, pleocroismo e, in alcuni casi, dalla sua fluorescenza

Inoltre, è importante aggiungere che quello che viene definito come colore (per il GIA ed altre autorità del settore, esso si compone della combinazione di tre componenti fondamentali: hue, tone and saturation che in italiano si possono rendere con tinta, tono e saturazione), in realtà si riferisce ad una gamma (una quantità compresa in un intervallo), seppur breve, piuttosto che a un singolo e ben definito aspetto cromatico. 

Anche per questo, la nomenclatura connessa a certe pietre si appoggia su criteri arbitrari. 

Per quel che riguarda lo zaffiro, più che ogni altra gemma, esistono varie sfumature di blu che si traducono in altrettanti nomi di mercato. 

Ognuno di essi si appoggia ad una paletta di tinte più o meno vaga. 

Per esempio, uno zaffiro, al quale sia stato attribuito un colore “fiordaliso” non corrisponde ad una gemma che chiunque possa visualizzare esattamente nella stessa maniera. 

Esso può apparire in maniera significativamente differente a persone diverse. Per capirlo, basta fare una semplice ricerca su Google. 

Immettendo nella barra di ricerca le parole “zaffiro fiordaliso” apparirà una schiera di immagini che farà capire immediatamente questo concetto (provare per credere!). 

Ogni aggettivo qualitativo, come appunto fiordaliso, reale ecc., “appiccicato” alla parola zaffiro ha il potere di aggiungere o togliere zeri al suo prezzo di listino. 

Va da sé che l’utilizzo di certi termini, sulle spalle di questa ragione, ha uno scopo ovvio: ogni venditore può facilmente “arrotondare” usando un metodo veloce, effettivo ed economico per accrescere il valore alle gemme che possiede. 

Uno zaffiro di color fiordaliso vale di più di un comune zaffiro (senza ulteriori appellativi) semplicemente per la suggestione creata dall’aggettivo. 

Tutte maggiori istituzioni gemmologiche tendono ad evitare questi termini commerciali sui loro certificati (a volte li menzionano tra le note aggiuntive) e si affidano piuttosto a scale di colori standardizzate (come quella di Munsell o il sistema Colourwise). 

L’applicazione di appellativi soggettivi non è una caratteristica esclusiva delle pietre naturali, ma riguarda anche quelle trattate e sintetiche. 

Ovviamente, tutti gli interventi per modificare colore e trasparenza di uno zaffiro hanno la finalità di massimizzare il suo prezzo di listino, rendendolo il più possibile vicino a quello delle pietre di massimo valore. 

Allo stesso tempo, questi trattamenti non devono essere troppo evidenti. 

Nei casi di frode essi non vengono rivelato. 

La loro applicazione non influenza solo la cifra di euro da sborsare, ma anche la durabilità della pietra acquistata. 

Alcuni di queste forme di manipolazione del colore non sono permanenti e talvolta nemmeno molto resistenti all’usura a qui un gioiello può venire sottoposto. 

La battaglia tra i trattamenti e le tecniche per “sgamarli” è sempre aperta. 

Nonostante che non si possa dire che non esiste un colore migliore in assoluto - molto dipende da gusti personali - molti esperti concordano sul fatto che gli zaffiri di colore blu vivo (o viola-blu) da medio a scuro sono tra i più ricercati. 

Molti degli interventi ai quali gli zaffiri vengono sottoposti puntano a ricreare queste tinte o ad avvicinarsi il più possibile a quelle ormai considerate tradizionalmente le più belle. 

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Qui di seguito si possono trovare le linee generali che definiscono questa paletta di colori tipicamente associati agli zaffiri:

Kashmir

Il termine Kashmir non si riferisce ad un tipo di colore ma ad una miniera d’origine. 

Esso però viene spesso visualizzato come un fiordaliso vivido (di massima saturazione) e vellutato, utilizzato come espressione del top della classe. 

È considerato, in generale, il più pregiato di tutti. 

Tuttavia, inizialmente tale etichetta non implicava automaticamente massima qualità, ma semplicemente una località di provenienza. 

La miniera che diede nome e leggenda a questi zaffiri, era vicina al villaggio di Sumjam sulle pendici sud-occidentali dell'aspra catena dello Zanskar, appunto nel Kashmir. 

Essa si trovava in una zona remota e difficile da raggiungere (a 4100 m di altitudine) e rimase aperta per poche decadi, tra il 1879/82 ed il 1927. 

Da essa provennero alcune pietre tanto eccezionali da creare un alone di mangia intorno a questo nome. 

Oggi pare che ci sia ancora attività estrattiva (non tutti sono d’accordo su questa ipotesi), ma che essa sia estremamente limitata e, sempre secondo voci non confermate, la qualità delle pietre recuperate non sarebbe vicina al livello di quelle estratte 100 anni or sono.

Fiordaliso (cornflower)

Questo è un termine molto difficile da definire come colore, poiché esistono molte tonalità ad esso legate. 

Alcune persone lo vedono come blu scuro e carico, mentre altri lo intendono come tenue e chiaro. 

Il blu fiordaliso viene talvolta confuso con quello pastello. 

Il fiore stesso al quale la tinta si ispira presenta una gamma di blu piuttosto ampia.

Velluto-velvet

Gli zaffiri blu velluto sono tra i più ricercati dagli intenditori. 

Anche in questo caso, il “velluto è una qualità addizionale rispetto al colore, una impressione legata alla trasparenza della pietra stessa. 

Essa viene però frequentemente gemellata ad un blu vivido. Alcuni degli zaffiri che provenivano dal Kashmir (in passato), e oggi dallo Sri Lanka e dal Madagascar presenta(va)no questo attributo. 

Esso è causato da nuvolette dense e lattiginose di aghetti disposti secondo schemi esagonali ben definiti. 

Queste particelle submicroscopiche, che diffondono la luce e non possono essere risolte come singole inclusioni al microscopio, danno alla gemma una lucentezza ovattata che ricorda il tessuto omonimo.

Pavone-Peacock

Nello Sri Lanka, alcuni dei migliori zaffiri blu sono stati paragonati al colore del collo o delle penne della coda del pavone. 

Questo è un blu elettrico e può essere piuttosto spettacolare.

Reale-Royal

Si dice che di tutti i colori dello zaffiro, il blu reale sia il più difficile da mostrare su schermo o su libro, poiché esso è fuori gamma sia per la stampa che per la maggior parte dei monitor dei computer. 

Si tratta di un vivido blu-viola con un tono profondo ed è incarnato dai pregiati zaffiri della zona di Mogok, in Birmania/Myanmar. 

Pietre simili si trovano anche a Andranondambo, in Madagascar, nel distretto di Tunduru, in Tanzania, occasionalmente a Pailin, in Cambogia e a Kaduna, in Nigeria.

Indaco-indigo

L'indaco è un colorante tradizionalmente ottenuto dalla lavorazione delle piante del genere Indigofera ed è di origine antica. 

Oggi è abbinato al colore dei blue jeans. 

Questo tipo di colore differisce dai blu puri chiamati fiordaliso, pavone o reale in quanto è inferiore in saturazione. 

Gli zaffiri indaco si trovano in molti depositi basaltici alcalini tra i quali quelli di Australia, Cambogia, Camerun, Cina, Etiopia, Laos, Madagascar (estremo nord), Nigeria, Ruanda, Thailandia e Vietnam.

Crepuscolo-twilight

Nome che prende spunto dal colore blu intenso del cielo pochi minuti dopo il tramonto. 

Gli zaffiri blu crepuscolare provengono principalmente da fonti basaltiche alcaline (vedi sopra).

Pastello-pastel

L’appellativo “pastello viene variamente assegnato agli zaffiri di colore tenue. 

Il termine stesso spesso risulta più piacevole e sofisticato di aggettivi quali “chiaro” o “pallido”.

Inchiostrato-inky

L’aggettivo “inchiostrato” viene spesso assegnato soprattutto agli zaffiri australiani e ricorda quello che una volta si trovava nei calamai o elle cartucce delle penne stilo. 

I depositi Downunder un tempo producevano quantità molto significative di pietre, ma la loro attività odierna è solo una minuscola frazione di quella degli anni '70.

Teal

Il cosiddetto zaffiro teal possiede una tonalità azzurro-verde che ha cominciato solo recentemente a guadagnare popolarità. 

Esso non cade nella categoria zaffiro (blu) ma in quella di zaffiro fantasia. 

Questo tipo di gemme a volte rientra nella categoria più ampia di parti-colour (multi, parti o Polychrome) sapphires o zaffiri parti-colore che mostrano più di un colore (2 o 3 in genere) nella stessa gemma.

I blu e gli interventi per migliorarlo

Generalmente, per tutte le pietre, i trattamenti tendono a migliorare due aspetti: il colore e la limpidezza. 

Nel caso degli zaffiri, la maggior parte degli interventi si focalizzano sul primo. 

In altre parole, essi tendono ad aumentare la vividezza del blu o a diminuirne il tono troppo scuro. 

Il colore di uno zaffiro deriva dalla presenza, all’interno del cristallo di corindone, che nella sua forma più pura è incolore, di titanio (Ti4+) e ferro (Fe2+). 

Aumentando o riducendo presenza e/o equilibrio di questi due elementi, si può modificare anche l’apparenza della gemma. 

Questi due cromatofori, che compaiono anche in forma di aghetti di rutilo, non sono, tuttavia, gli unici ad essere parte della struttura cristallina del corindone (detta allocromatica proprio perché’ assume un colore in base alla presenza di elementi cromatofori esterni alla sua composizione di base). 

Essi spesso condividono il loro spazio atomico con quantità variabili di atomi di silicio, idrogeno, magnesio, ferro ossidato e spazi vacanti. 

Ogni combinazione di questi agenti chimici può portare a variazioni nell’aspetto esteriore della pietra.

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I trattamenti degli zaffiri (blu)

Il valore di una pietra preziosa dipende dalla sua intrinseca bellezza, durabilità e rarità. 

La modifica artificiale del suo aspetto ne abbassa notevolmente il suo valore poiché insiste su tali fattori. 

I trattamenti delle pietre preziose sono tanto comuni nel mercato, da rendere le gemme inalterate - tra cui gli zaffiri - un’assoluta rarità. 

Ogni intervento per modificare artificialmente l’apparenza di una gemma, deve necessariamente tenere in conto alcuni fattori quali: 

1. La qualità del materiale iniziale (trasparenza, impurità presenti, composizione chimica ecc.), 
2. Il tempo – per quanti minuti/ore la gemma viene sottoposta al procedimento. 3. La temperatura (normalmente compresa tra 200°C e 1900°C) – l’intensità del calore e le sue possibili variazioni, 
4. La presenza (ambiente ossidativo) o assenza (ambiente riduttivo) di ossigeno, 5. Agenti chimici addizionali. Nel caso degli zaffiri, il più comune tra tutti gli interventi è quello che implica l’utilizzo di una fonte termica (riscaldamento). 

Qui di seguito viene riportata una lista comprensiva delle forme di alterazione del colore più note.

Zaffiro non riscaldato

Questa è la forma più rara e costosa di zaffiro. 

Gli unici processi applicati ad una pietra considerata non trattata, sono il taglio e la lucidatura. 

Si ritiene che il numero di zaffiri non trattati rappresenti meno dell'1% (secondo altre fonti del 5%) di tutti di quelli venduti a livello globale.

Il riscaldamento

Già mille anni fa, Il grande erudito Al Biruni (973 - 1050 d.C.) descriveva il processo di riscaldamento del rubino in una fornace progettata per fondere 50 mithqal (212 grammi) d'oro. 

Il metallo prezioso fonde a 1064°C, per cui il forno di quei tempi certamente era in grado di raggiungere temperature di 1100°C o superiori.

Oggigiorno, gli interventi che implicano l’uso di calore sono tipicamente applicati alle gemme grezze, mentre gli interventi con diffusione sono riservati alle pietre già lavorate, visto che lo strato di penetrazione degli elementi chimici utilizzati è molto sottile e non sopravviverebbe il processo di pulitura.

Riscaldamento a basse temperature

Questo tipo di processo, che coinvolge temperature al di sotto dei 1.200° C, è tipico degli zaffiri dello Sri Lanka (da almeno un millennio). 

Esso è oggi comune alla maggior parte di corindoni di tipo basaltico (spesso scuri) e viene impiegato per schiarirne, ridurne o rimuoverne completamente il colore. 

In passato gli zaffiri, già di partenza pallidi, subivano questo tipo d’intervento per diventare imitazioni dei diamanti. 

Inoltre, in quelli violacei, rimuovendo la componente azzurra, si possono ottenere delle tinte “rosa” molto ricercate. 

Il riscaldamento a basse temperature induce differenze gentili, non drastiche, nel cambio cromatico. 

È considerato accettabile nel commercio di gioielli in quanto non implica l’aggiunta di sostanze chimiche e i cristalli così trattati non vengono modificati in maniera drammatica. 

Questo è un processo permanente e irreversibile.

Alte temperature

Il riscaldamento ad alte temperature necessita di una quantità di calore in grado di dissolvere i cristalli di rutilo, che fondono sopra i 1200-1300 gradi circa. 

Con lo scioglimento degli aghetti di rutilo, si può anche potenzialmente migliorare la limpidezza di una gemma. 

Nel caso di questo procedimento, ci sono due variabili che vanno considerate per raggiungere un risultato finale soddisfacente: il tipo di fornace utilizzato e l’atmosfera interna (l’inclusione di certi gas). 

Con la presenza normale o accentuata di ossigeno, i cristalli di rutilo si disgregano in titanio (Ti4+) e ferro, che passa da non ossidato (Fe2+) a ossidato (Fe3+). 

In questo tipo di configurazione atomica, il titanio non solo non può combinarsi col ferro ossidato per intensificare il blu della pietra, ma spesso assorbe quello non ossidato circostante, attenuandone il colore. 

Con un ambiente di ossigeno ridotto, invece, si ottiene l’effetto contrario; il ferro acquista un elettrone e passa da Fe3+ a Fe2+, il che si traduce in un aumento dell’intensità dell’azzurro della gemma. 

Questo trattamento è tipicamente applicato alle gemme categorizzate come geuda (vedi di seguito). 

Per districarsi tra tutte queste variabili è auspicabile una solida conoscenza dei processi e una lunga esperienza. 

I risultati sono sempre piuttosto imprevedibili. 

Il blu addizionale talvolta non appare. 

Questo succede quando, per esempio, le quantità di ferro o titanio nella gemma non sono sufficienti, oppure per la eccessiva presenza di ferro ossidato. 

Un altro fattore che previene la formazione del colore tanto desiderato è la alta concentrazione di magnesio libero, che va in combinazione con titanio in maniera prioritaria e lo sottrae dai cristalli, prima che esso possa unirsi al ferro.

I tipi di fornace

I forni utilizzati per “cuocere” le pietre erano molto semplici in passato, ma con il tempo si sono evoluti. 

I passi in avanti della tecnologia hanno impattato anche il trattamento delle pietre, portando a risultati sempre più costanti e soddisfacenti. 

Esistono, ancora oggi, due tipi principali di fornaci: quelle a combustione (attivata da legna, carbone, olio, petrolio o gas naturale, il genere più tradizionale e meno stabile) e quelle elettriche (dagli anni ’80), più moderne. 

Entrambi i tipi possono funzionare con o senza ossigeno. 

Essi ne possono aumentane la presenza, immettendo aria all’interno della camera di combustione oppure permettono di assorbirla/ridurla, attraverso una fiamma interna che brucia l’ossigeno presente, o utilizzando dei composti ad hoc, o, infine, semplicemente restringendo l’accesso d’aria. 

In caso di ambiente “ridotto”, monossido di carbonio (CO) e idrogeno (H2) diventano i gas dominanti.

Appaiono i “Geuda” (Singalese ගෙà·€ුඩ)

Nello Sri Lanka, i minerali chiamati geuda sono cristalli dall’aspetto traslucido- semitrasparente, biancastro, semi-brunastro, lattiginoso, con lucentezza setosa dovuta a micro-inclusioni di rutilo. 

Essi possono diventare trasparenti e acquistano un bel colore blu brillante dopo una cottura a temperature di 1600°C-1900°C. 

Prima della cottura, essi mostrano un caratteristico "effetto diesel" o “te” (dal colore del carburante o della bibita). 

Il processo di riscaldamento, agisce sulle impurità di Fe, Ti, Cr e Mn (ferro, titanio, cromo e manganese). 

La presenza di Fe e Ti può portare il colore blu, quella di Cr il rosso, mentre il manganese ha un effetto indiretto. 

Le percentuali di impurità determinano l'intensità del colore finale. 

Alcune statistiche dichiarano che una buona parte (dal 30% al 70%) delle gemme estratte in Sri Lanka appartiene a questa categoria. 

In passato, visto il loro scarso valore, esse venivano conservate in grandi fusti. 

Prima della scoperta dei trattamenti, negli anni '70, venivano utilizzate per decorare i giardini domestici. 

Sebbene molte di queste pietre vengano distrutte dal processo di riscaldamento-raffreddamento, quelle che sopravvivono sono significativamente migliori sia nell’aspetto che nel prezzo. 

L’aumento decisamente visibile della componente cromatica è causato dal riassorbimento del rutilo presente nelle pietre e dal trasferimento dello ione Ti4+ nel reticolo cristallino del corindone. 

Questo Ti4+, in combinazione con Fe2+, produce un centro di colore. 

L'intensità del colore acquisito è correlata al rapporto tra gli additivi di ferro e titanio nella materia prima iniziale. 

Generalmente, il trattamento funziona molto bene, purché le minuscole particelle di rutilo siano distribuite in maniera regolare all’interno della pietra e creino un manto cromatico altrettanto omogeneo. 

I forni a diesel sono quelli che vengono più frequentemente utilizzati per compiere questa operazione. 

Dopo aver riscaldato un geuda a circa 1800°C, il reticolo di ossido di alluminio della gemma viene alterato; il raffreddamento controllato migliora notevolmente sia il suo colore che la sua chiarezza. 

Nella maggior parte dei casi, il processo prevede la diffusione dell'idrogeno in un'ambiente ad atmosfera ridotto (povero d’ossigeno). 

Alla fine degli anni '70, i geuda inondarono il mercato, con molti acquirenti che non avevano idea di aver acquistato pietre riscaldate. 

Una volta scoperto il “trucco”, nei primi anni '80, i commercianti asiatici etichettarono questo intervento come "tradizionale"; successivamente si comprese che esso risaliva solo ad una decina di anni prima. 

L'American Gemological Laboratories (AGL) di New York fu il primo laboratorio a iniziare a divulgarne l’esistenza e solo alla fine della stessa decade, lo seguirono anche le altre grandi istituzioni del settore.

Classificazione locale dei geuda

Col tempo, oltre che ai tipi di trattamento si è evoluta anche la nomenclatura delle pietre grezze coinvolte. 

Un numero considerevole di nuovi termini venne, in tale frangente, introdotto nella classificazione locale dei corindoni pallidi. 

Questi nomi si basano sul grado di lattiginosità (osservata sotto luce diretta) e sull'intensità dell'effetto diesel (osservata con luce trasmessa) e possono essere piuttosto soggettivi. 

Essi hanno comunque poca importanza per i compratori finali e sono qui inseriti per curiosità. 

Ecco alcuni di quelli utilizzati più di frequente:

Geuda Diesel: da bianco latte a brunastro intenso. Le impurità di ossido di ferro danno origine a macchie o striature brunastre che possono essere distribuite casualmente all’interno del cristallo. Questa caratteristica prende appunto il nome di effetto tè o effetto diesel.

Geuda Dalan: il grado più basso. Include le varietà miste (scarti) di geuda, di solito con poco effetto seta/ diesel, che ha comunque un minimo, ma apprezzabile potenziale di successo dopo il trattamento.

Giovane geuda/Young: di qualsiasi colore di base, che può mostrare un minimo effetto seta e/o diesel.

Geuda Spesso/Thick: materiale opaco con caratteristica lattiginosità intensa o effetto diesel che provoca una drastica riduzione della trasparenza.

Geuda Lattiginoso/Milky: bianco opaco/bluastro/giallastro con effetto diesel. Esso viene sottoposto a temperature di 1850°C per circa mezz’ora.

Geuda Setoso/Silky: con inclusioni di rutilo dall’apparenza simile alla seta con un forte effetto diesel. Esso viene sottoposto a temperature di 1900°C per circa un’ora.

Geuda Ceroso/Waxy: materiale dall'aspetto ceroso o opaco che può mostrare un moderato effetto diesel. Esso viene sottoposto a temperature di 1850°C per circa un’ora.

Ottu: è un corindone incolore con una macchia, un punto o una striatura azzurra. Esso viene sottoposto a temperature di 1750°C per circa 10-20 minuti. Esistono svariati tipi di pietre Ottu: Ethul, Pita, Dot, Atul, Black, Dun e Ural che indicano una varietà di caratteristiche interne specifiche.

Zaffiri stellati ed asteriati

Gli aghetti di rutilo che, dissolti, aumentano il colore blu di uno zaffiro, sono gli stessi che, se presenti in una certa quantità e configurazione, possono dare origine sia alla famosa star (tipicamente a sei raggi) che all’effetto occhio di gatto. 

Questi spettacolari effetti ottici sono visibili in alcuni rubini e zaffiri. 

Le gemme che generalmente vengono destinate a mostrare queste particolarità ottiche sono quelle opache, o comunque di inferiore trasparenza (e sufficiente contenuto di aghetti di rutilo) che, tagliate a cabochon, con un’orientazione del cristallo appropriata, mostrano questi due fenomeni, noti in italiano come asterismo e gatteggiamento.

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Trattamenti termici multipli

In alcuni corindoni, il materiale grezzo è troppo incluso per essere rimosso dal semplice processo di trattamento termico una tantum. 

In tale evenienza, vengono eseguiti più interventi, nei quali vengono possono venire introdotti anche degli agenti fondenti. 

Tale aggiunta può portare a creare pietre di un colore accettabile. 

L’apparizione di zaffiri ricotti, negli anni '80, che inizialmente creò problemi nell’individuazione di tali trattamenti, portò parallelamente alla individuazione di metodi d’indagine maggiormente rifiniti. 

I laboratori gemmologici imparano ad interpretare i "segni di fuoco", iniziando a vedere le crepe discoidali all’interno degli zaffiri come un marchio dell’aumento di tensione interna, legata al riscaldamento artificiale. 

Queste caratteristiche interne erano e sono facilmente osservabili a medio ingrandimento (30-40x). 

Inoltre, vennero notati e catalogati altri indizi connessi all’uso di alte temperature, come la completa scomparsa delle inclusioni liquide di anidride carbonica, le superfici fuse di alcune inclusioni solide, il verificarsi di una rete di canali piccoli e sottili, il netto contrasto tra zone colorate e quasi incolori, la diminuzione del dicroismo, ecc. 

Tutte queste caratteristiche oggi sono degli indicatori ben conosciuti della presenza di trattamento termico.

Guarigione delle fratture con vetro o fondente

Sempre risalente allo stesso periodo, ossia intorno alla metà degli anni '80, è il trattamento che si basa sull'aggiunta di materiale fondente durante il riscaldamento. 

Questa introduzione produce la guarigione di una fessura interna. 

Le pietre di bassa qualità, che contengono numerose crepe o fratture, possono essere “guarite” con quantità submicroscopiche di corindone sintetico, un materiale di basso costo che esiste da oltre un secolo. 

Un altro additivo/riempiente, comunemente utilizzato per questo tipo di zaffiri (e rubini) è il vetro al piombo (con possibile aggiunta di cobalto per aumentare l’intensità del blu). 

In entrambi i casi, il trattamento ha un effetto significativo sia sulla durabilità, notevolmente ridotta, che sul valore della gemma (se opportunamente comunicato). 

Il riempimento può declassare zaffiri o rubini, che infatti normalmente non vengono indicati sui certificati come corindoni naturali, ma come vetri trattati. 

L’intervento è di facile individuazione: il lustro superficiale del vetro è diverso da quello del corindone (in luce riflessa), inoltre, sono spesso presenti colorazioni interne discernibili (o lampi di colore), soprattutto lungo le fratture e, nella parte riempita, appaiono anche bolle d’aria.

Corindone sintetico (a fusione su fiamma/Verneuil) “crepato” e ricotto con fondente

Gli stessi trattamenti operati sugli zaffiri estratti da depositi primari o secondari possono essere applicati a pietre sintetiche per farle apparire naturali. 

Lo zaffiro creato in laboratorio con il sistema Verneuil costa pochi dollari al carato. 

Se opportunamente alterato, esso può essere venduto a compratori inconsapevoli come pietra naturale. 

Alcune gemme artificiali, troppo perfette per essere confuse con quelle nate dalla terra, hanno bisogno di interventi che ne modifichino l’aspetto originale per renderle meno sospette agli occhi dei potenziali acquirenti. 

La creazione di piccole crepe nei cristalli sintetici e l’aggiunta di un fondente, inserito per guarire queste mini-fratture porta all’apparizione di “impronte”, che possono essere scambiate, dall’occhio meno attento, per inclusioni naturali. 

Per ottenere questo effetto, le pietre vengono riscaldate a una temperatura di 1000-1200°C per 3-4 ore e quindi immerse rapidamente in acqua fredda; l’improvviso cambio di temperatura fa crepare (nel senso di fratturarsi) la pietra. 

Il processo viene applicato sia al corindone sintetico che quarzo da molti decenni. 

Le gemme così trattate mostrano un tipico effetto a "scacchiera", un indizio identificativo evidente, soprattutto per sguardi allenati.

La Diffusione termico-chimica

Il metodo della diffusione termica è particolarmente adatto per il trattamento di zaffiri di colore chiaro, che sono poveri di ferro o non contengono inclusioni di rutilo. 

In questi casi, gli zaffiri precedentemente sfaccettati sono immersi, attraverso una lunga esposizione a temperature relativamente alte, tra i 1800°C e i 1900°C, in una polvere di titanio e ossido di ferro. 

Altri composti vengono utilizzati per indurre vari colori: l'ossido di cromo viene utilizzato per produrre i colori rosa e rosso (raro), lo stronzio per l'arancio, il cobalto per il blu brillante, ecc. 

La diffusione di elementi cromofori produce colore in un sottile strato superficiale, fino a una profondità di decimi di millimetro. 

Elementi più leggeri, come per esempio il berillio (numero atomico 4), utilizzato per indurre un effetto “padparadscha” (uno zaffiro rosa-arancio molto ricercato), entrano maggiormente nella pietra che quelli più pesanti come cromo (numero atomico 24) o titanio (numero atomico 22).

Per individuare questo tipo di intervento, bisogna visionare la gemma, da tutti gli angoli possibili, con luce trasmessa diffusa (tramite uno schermo o immersione). 

Se si osservano concentrazioni di colore lungo le giunzioni delle faccette, nelle fessure, intorno alla cintura, se si nota una distribuzione del colore irregolare da sfaccettatura a sfaccettatura si può presumere che il cristallo sia stato trattato con questo sistema.

Diffusione all’ ossido di titanio

Questo processo non è nuovo, infatti esso fu brevettato a metà degli anni ’70. 

Il metodo coinvolto è relativamente semplice, ma richiede molto tempo e energia. 

Si tratta di immergere gli zaffiri già sfaccettati in una polvere di ossido di titanio (TiO), ad una temperatura di 1750°C circa, per parecchie ore. 

Il titanio penetra attraverso la superficie, ma non va in profondità. 

Esso forma uno spessore si soli 100 micron circa. 

Viste le condizioni estreme alle quali le gemme vengono sottoposte, esse devono spesso essere parzialmente rilucidate. 

Ciò talora porta alla rimozione della sottile pellicola che si era depositata intorno alla pietra tagliata, in alcuni punti. 

Questo fattore è importante per l’identificazione del trattamento, che spesso risulta non troppo complicato da individuare anche con strumenti non particolarmente sofisticati come la luce diffusa o immersione nell’acqua (o una combinazione di entrambe e l’aiuto di una lente). 

Illuminata da sotto, la pietra “diffusa” rivela un eccesso di colore (a tela di ragno) soprattutto lungo le giunzioni delle faccette.

Anche il berillio (Be2+), diffuso nella gemma (tipicamente per produrre il prezioso colore “Padparadscha”), può avere un impatto sul colore blu. 

Esso infatti, così come fa il Magnesio/Mg2+, che si combina col titanio/Ti4+ prima che lo faccia il ferro. 

Questa reazione può indurre ad una riduzione dell’intensità della componente azzurra, fino a rimuoverla completamente, oppure può intensificare quella gialla. 

La profondità di penetrazione del berillio è di gran lunga superiore a quella del titanio e di conseguenza la rilucidatura di una pietra può essere fatta senza troppi problemi.

Diffusione e copertura al cobalto

Questo è un trattamento relativamente nuovo (dagli anni ’90), Questo tipo di intervento si effettua su zaffiri di bassa qualità che contengono fessure o crepe che raggiungono la superficie. 

I cristalli sfaccettati vengono immersi e quindi riempiti con una forma di vetro ricca di cobalto. 

Il cobalto dona il blu acceso alle pietre mentre il vetro riempie le loro cavità e ne migliora la limpidezza. 

Il processo viene fatto a temperature di circa 800-1000 gradi, per un periodo di molte ore, 10 o più (a volte anche 20 o 30). 

Attraverso questo intervento si crea un sottilissimo (di 4-10 micron) strato di ossido di alluminio di cobalto (CoAl2O4) intorno alla pietra sfaccettata, di un blu molto intenso. 

Queste pietre non sono una sfida da identificare per un gemmologo esperto, ma possono ingannare compratori comuni. 

Generalmente, gli zaffiri così trattati hanno un colore distribuito in maniera stranamente omogenea ma, ad una analisi con un semplice spettrometro, si notano le linee e bande tipiche del cobalto, che non dovrebbero apparire in uno zaffiro naturale. 

Inoltre, si possono facilmente notare concentrazioni di colore nelle fessure e cavità che raggiungono la superficie, innumerevoli bolle, da sferiche a piatte, all’interno della pietra e un sospetto "effetto flash", muovendo la pietra. 

Quando le gemme vengono manipolate con questo sistema, i loro cristalli interni e gli aghi di rutilo rimangono generalmente inalterati. 

Il rutilo intatto indica mancanza di trattamento oppure, come in questa circostanza, un intervento a temperature relativamente basse. 

Questo sistema fu apparentemente sviluppato da Tanusorn Lethaisong, a Chantaburi (Tailandia) nel 2007. 

Alcuni produttori modificano il processo utilizzando additivi come il carbonato di litio per ottenere migliori risultati.

Sotto pressione (LTHP e HTHP)

Mentre per i diamanti l’utilizzo di trattamenti in ambiente pressurizzato risale alle ultime decadi del secolo scorso, per zaffiri e rubini l’introduzione di questo metodo è storia recente. 

Nel 1997, la società tedesca di forni LINN mise in vendita autoclavi a bassa pressione per il trattamento del corindone (fino a 25 bar). 

Molti di questi vennero piazzati in Asia.

Nei trattamenti HT+(L)P (alte temperature più bassa pressione) sullo zaffiro, le pressioni utilizzate (~1kbar) sono molto più basse rispetto a quelle alle quali queste pietre crescono nel terreno e consentono dei trattamenti accelerati, entro un tempo di 30 minuti o meno. 

Gli apparecchi utilizzati sono tuttavia molto più costosi dei tipici forni di trattamento. 

Inoltre, le gemme interessate devono essere maneggiate individualmente, una alla volta. 

Il cambio di fase prodotto dal salto di colore avviene così rapidamente che è più difficile da controllarlo e i risultati ottenuti possono essere piuttosto imprevedibili.

Alte pressioni

Negli ultimi 5-6 anni, trattamenti basati sull’applicazione di alte pressioni sono stati introdotti sia per i diamanti, che per le altre pietre preziose. 

I primi esemplari noti di zaffiri sottoposti ad interventi HP-HT (alte pressioni e temperature, generalmente in ambiente ad ossigeno ridotto) sono apparsi in Sri Lanka nel 2015. 

Oggi si sa che anche il Madagascar, oltre che allo Sri Lanka, è una fonte comune di zaffiri HPHT, mentre si è compreso che questo trattamento non ha effetto su pietre di origine basaltica (da depositi di roccia ignea scura come Nigeria, Australia, ecc.). 

Normalmente viene implementato per aggiungere colore, piuttosto che per diminuirlo. 

Stando ai dati disponibili, queste pietre vengono vendute (da coloro che ne rivelano la manipolazione) per prezzi del 30- 50% inferiori rispetto allo zaffiro di qualità simile che abbiano subito un trattamento termico convenzionale.

Taglio mirato e tinta

Il taglio mirato non è un trattamento di per sé, ma un piccolo trucco per concentrare il blu della gemma, quando questa viene vista a faccia in su, utilizzando le sue proprietà ottiche. 

Talvolta con un piccolo punto azzurro piazzato intelligentemente si può far apparire la pietra come interamente blu. 

Se già incastonata su un anello/gioiello con montatura “a notte”, che avvolge la parte inferiore della gemma, questo tipo d’intervento può non essere di così facile individuazione.

Tintura (meno frequente): lo stesso effetto creato attraverso il processo illustrato qui sopra si può ottenere tramite l’utilizzo di tinte speciali o aggiungendo un puntino di colore alla base del cristallo (magic marker). 

Questa minuscola macchia si propaga attraverso l’intera gemma quando osservata da certe angolazioni.

Altri trattamenti meno comuni

Il riempimento con materiali teneri/viscosi: questo intervento è simile a quello applicato allo smeraldo (con oli, resine, polimeri ed altri materiali viscosi) ed è poco frequente negli zaffiri, poiché meno efficace e duraturo rispetto al riscaldamento. 

Tuttavia esiste una casistica al riguardo e, essendo l’intervento meno noto, può sfuggire ad un controllo non sufficientemente attento.

Uso di radiazioni, molto più difficile da rilevare, ma normalmente poco utilizzato perché’ di impatto limitato sullo zaffiro (soprattutto se blu, agisce meglio nella modifica di altri colori).

Pietre composite – doppiette

Attraverso l’assemblaggio di materiali differenti si possono ottenere sorprendenti risultati …e guadagni (soprattutto se il “trucco” non viene divulgato). 

Questa operazione è nuova, ma risale a secoli fa (citata già da Camillo Leonardo nel 1502 e Anselmo De Boodt nel 1609, per esempio). 

Per creare delle pietre composite (o doppiette: fatte di due strati/triplette: fatte di tre strati), si uniscono un cristallo (normalmente, ma non sempre) naturale, per la parte superiore ad una metà inferiore composta di materiale di grado più basso (naturale o sintetico). 

Così facendo sì massimizzano le caratteristiche della corona, che è la parte maggiormente in vista/esaminata - come RI, inclusioni, zonazione angolare o le bande colorate – per creare una gemma di grandi dimensioni con poco materiale di valore. 

In alcune pietre, la separazione corre attraverso la cintura ed è di individuazione meno immediata. 

Queste gemme composite sfuggono i processi di identificazione poco accurati e sono ancora più elusive quando montate su gioielli. 

Un’analisi completa rivela sempre tale combinazione (linea di demarcazione, lustro differente, inclusioni diverse, bolle nella parte di congiunzione ecc.).

Note finali

Gli zaffiri sono delle gemme molto belle e preziose. 

Proprio per questo vengono imitati, alterati, manipolati e talvolta venduti senza rivelare gli interventi che ne hanno modificato l’aspetto. 

Alcuni trattamenti sono antichi, mentre altri sono di più recente introduzione. 

Non di rado ne vengono furtivamente introdotti di nuovi, ad insaputa di consumatori ed esperti. 

Essi non solo influiscono sull’aspetto e sul prezzo delle gemme, ma anche sulla loro durabilità. 

Molti degli interventi creano la necessità di cure speciali affinché gli zaffiri mantengano il loro aspetto ottimale. 

Prima di comprare uno zaffiro è bene assicurarsi di averlo testato accuratamente o di essersi affidati ad un laboratorio di fiducia che possa verificate tutte le sue caratteristiche.


Fonti: gia.edu, gemrockauctions.com, git.or.th, gemdat.org, berganza.com, thenaturalsapphirecompany.com, estatediamondjewelry.com, agta.org, economictimes.indiatimes.com, thenaturalsapphirecompany.com, ssef.ch igi-gtl.org, pricescope.com, marangems.com, archive.lib.cmu.ac.th, mahinda-ceylongems.blogspot.com, elephanthouse.com.au, lotusgemology.com.
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