I Trattamenti dei Rubini | Rare diamonds, gems, jewelry, gemology and crypto payments
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“Vedo Rosso”, ma non Troppo: I Trattamenti dei Rubini 


Da tempi immemorabili, esistono gemme che sono rappresentative di determinati colori: lo smeraldo per il verde, lo zaffiro per il blu, l’ametista per il viola e così via. 

Per quanto riguarda il rosso ci sono le tormaline, I granati, gli spinelli, ma anche i meno comuni topazio, rodocrosite, berillio rosso (formalmente conosciuto come bixbite), corniola, corallo e addirittura il rarissimo diamante rosso. 

Nessuna di queste pietre può però avvicinarsi alle maestosità delle tinte passionali rappresentate dal rubino. 

Il rosso dominante, che contraddistingue questa pietra, non è, tuttavia, sempre di origine naturale; esso può essere ricreato da una serie di processi più o meno complessi. 

Sebbene alcune delle operazioni, atte alla modificazione artificiale dell’aspetto di questa pietra, abbiano origini molto antiche, solo negli ultimi 30-40 anni i metodi si sono moltiplicati e rifiniti. 

Nulla di nuovo: mille, due mila, tre mila anni fa… 

Tra tutte le tecniche per accrescere la bellezza del rubino, la più antica è certamente quella del trattamento termico. 

Tale metodo si applica, ancora oggi, ad un gran numero di pietre preziose. Secondo alcune fonti, agate rosse e corniole rinvenute in siti archeologici dell’India e risalenti al II millennio a.C. mostrano tracce proprio di questo intervento. 

Anche nella tomba del famoso faraone Tutankhamon (1342-1325 a.C.) sono state recuperate gemme il cui colore fu alterato attraverso l’applicazione mirata del calore. 

Oltre duemila anni dopo, il grande studioso persiano, Al Biruni (973-1050 d.C.) fu forse il primo a descrivere il processo di “riscaldamento” del rubino. 

Egli racconta che questa operazione veniva fatta utilizzando una piccola camera semicircolare progettata per fondere 50 mithqal (212 grammi) d'oro. 

Poiché l'oro si scioglie a 1064 ° C, si può dedurre che la fornace utilizzata doveva essere in grado di raggiungere temperature di almeno 1100 ° C. 

Sempre dal mondo mediorientale, ci giunge la conferma che questo metodo era ancora in voga dal 1240 d.C. attraverso gli scritti di Teifaschi/ Tifaschi (1184-1253). 

Anche in Italia si racconta di alterazioni di gemme indotte del colore; lo fa Giovanni Battista Porta [1535–1615] di Napoli, nel sesto libro della sua opera “Magia Naturale”. 

In questo importante lavoro, l’autore discute vari modi di contraffazione e adulterazione delle pietre preziose del suo tempo, tra le quali figura anche il trattamento termico. 

Nel XIX secolo, i miglioramenti nelle scienze sperimentali comportarono un continuo aggiornamento delle risorse tecniche, consentendo lo sviluppo di forni in grado di raggiungere e mantenere facilmente temperature di 1500 ° C o anche di più. 

Tuttavia, fino ai primi studi sistematici, condotti agli inizi degli anni ‘30, non si conosceva molto sul reale effetto del calore sulle pietre preziose. 

Da allora molte cose sono cambiate, oggi (2020) si stima che oltre il 90% (cifre GIA) di queste gemme sia sottoposto a tale processo. 

I rubini grezzi

I depositi, le caratteristiche dei rubini e gli interventi per modificarle 

Fino alla fine degli anni ’80, i giacimenti conosciuti di rubini erano circoscritti a poche aree del Sudest asiatico: Myanmar (Birmania fino al 1989), Tailandia e, in maniera decisamente minore, lo Sri Lanka (che fino al 1948 conosciuta come Ceylon). 

La Birmania era stata il maggior produttore per centinaia di anni, ma dopo il colpo di militare del 1962, aveva “passato lo scettro” alla Tailandia. 

Per circa 3 decenni, Bangkok e dintorni furono la fonte principale dei queste gemme, ma i loro depositi si esaurirono piuttosto in fretta. 

Negli anni ’90, in contemporanea con la fine delle grandi operazioni minerarie in Tailandia, estese esplorazioni territoriali portarono ad un boom di nuovi giacimenti. 

A partire dalla fine del millennio uscente, gli stati produttori di queste pietre si sono moltiplicati enormemente. 

Se da un lato, questo ha ristabilito un commercio stabile e prospero del rubino, dall’altro ha resa più complicata la determinazione della loro origine geografica. 

Non esistono dati ufficiali sulla sua estrazione globale (proveniente in gran parte di piccole attività artigianali da depositi secondari), ma c’è generale accordo sul fatto che oggi Myanmar e Mozambico siano i 2 esportatori primari di queste pietre di colore rosso intenso. 

È importante comprendere la provenienza del materiale perché, a parte il prestigio derivante da alcuni luoghi rinomati (ed il relativo prezzo), in base ad essa si possono prevedere alcuni tipi di trattamento. 

Le pietre di originarie di depositi di genesi metamorfica, associati al marmo, come per esempio quelli di Myanmar (Mogok), Afghanistan, Cina (Yunnan), Kenya (area Machakos-Thika), Macedonia (Prilep), Nepal, Pakistan, Tajikistan, Tanzania (Mahenge, Morogoro), Vietnam (Yen Bai, Quy Chau), tipicamente carenti di ferro, non rispondono al trattamento termico. 

I rubini associati all’anfibolite (uno dei più frequenti tipi di rocce ospiti), come i giacimenti di Groenlandia, Kenya, Madagascar (Ilakaka, Nosy Be, Ambato e Ambondromifehy), Malawi, Mozambico, Tanzania (Longido, Winza) e India, sono suscettibili a tale processo. 

Infine, quelli legati a depositi magmatici/ignei, di tipo basaltico-alcalino, come per esempio quelli di Chanthaburi, Trat (Tailandia), Pailin (Cambogia), Mong Hsu (Myanmar), Australia, Cambogia, Cameroon, Etiopia, Francia, Kenya (Mangari, Taita Taveta), Israele, Madagascar (Ankaratra - area Antsirabe–Antanifotsy), Nuova Zelanda, Nigeria, Rwanda, Scozia e Vietnam (Dak Nong), mostrano evidente risposta, spesso per il contenuto di ferro, alla cottura in un forno.

I trattamenti dei rubini

I metodi 

Fino agli anni ‘90, il trattamento termico non era applicato ai rubini birmani (allora prevalentemente provenienti da Mogok, Mong Hsu iniziò la produzione su larga scala solo nel 1991), ma era comune in quelli dello Sri Lanka e della Tailandia. 

Per migliorare la trasparenza, il rubino veniva “cotto”, per parecchie ore, a temperature comprese tra 1000° C e 1900° C, ossia fino a valori vicini al punto di fusione del rutilo (1843° C, che però comincia a sciogliersi a 1650-1700° C ed è portatore di colore blu) e a quello del corindone (2044° C circa). 

Per accrescere il calore di queste fornaci rudimentali, i “soffiatori” potevano soffiare in una pipetta 2 volte al secondo per parecchi minuti. 

Il combustibile tradizionale utilizzato per questi processi, ancora piuttosto semplici, era il carbone ottenuto dalla parte legnosa della noce di cocco. 

Nelle officine più moderne, invece, si utilizzano bombole di gas o apparecchi elettrici. 

Il fatto che questa forma di trattamento non venga sempre applicata non è legato a sentimenti di onestà di questi “sofisticatori”, ma piuttosto alla consapevolezza che questa forma di manipolazione non abbia lo stesso effetto su tutte le pietre. 

Alcuni i rubini possono reagire alle alte temperature con dei cambiamenti notevoli, mentre altri, con caratteristiche chimiche diverse, risultano completamente inerti a tale intervento. 

Questa forma di alterazione di purezza e colore dei rubini si presenta in una miriate di variazioni, alcune delle quali tuttora ignote, ma tutte questi sistemi hanno in comune alcune caratteristiche, per esempio, la necessità di agire su: 

1. La relazione temperatura-tempo 

2. Le condizioni di riduzione dell'ossidazione (presenza o assenza di ossigeno) 

3. La presenza di sostanze chimiche che possono interagire con la pietra preziosa 

Il trattamento termico del corindone può influire sulla presenza di gatteggiamento o asterismo. 

I tipi principali di trattamento termico 

Alle basse temperature (800–1200°C) 

Nonostante sia conosciuto da secoli, questo sistema ha avuto una diffusione recente, innescata dallo sfruttamento di nuovi giacimenti, in particolare quelli del Mozambico, le temperature raggiunte variano normalmente da 550°C a 750°C (ma possono arrivare fino a 1000°C) circa e, mentre esse causano una notevole riduzione della componente di colore blu in molti campioni, esse non comportano la fusione una gran parte dei minerali inclusi all’interno delle gemme. 

Questo limitato impatto sulle caratteristiche interne rende quindi difficile la rilevazione di questo intervento con strumenti di analisi gemmologica standard. 

Questo intervento può essere tuttavia rivelato dai laboratori specializzatati attraverso la spettroscopia FTIR. 

Alle alte Temperature (1200°C+) 

Questo è Il trattamento più "convenzionale" (generalmente sopra i 1300°C), già citato in precedenza ed è utilizzato per modificare il colore delle pietre da marrone o viola a rosso (e talvolta da rosso ad arancione) innescando il riassorbimento del minerale rutilo e talvolta migliorando anche la trasparenza della pietra “riscaldata”. 

Un passo importante in questo senso venne provvisto, nei primi anni ’80, dall’introduzione di forni elettrici a muffola (che possono raggiungere fino a 1800°C). 

Inoltre, a partire dal 1997, la società tedesca LINN ha iniziato a mettere in vendita autoclavi a bassa pressione per il trattamento del corindone (fino a 25 bar), molti dei quali sono stati venduti in Asia. 

I trattamenti a prolungato riscaldamento coadiuvati da aumentata pressione possono produrre mutazioni di colore senza innescare l'esplosione delle inclusioni di cristalli negativi riempiti di fluido, presenti in parte delle gemme. 

Rivelamento del trattamento: per tutte queste forme di intervento, gli strumenti principali per i test gemmologici (se non si dispone di un laboratorio con equipaggiamento avanzato) rimangono la lente del gioielliere, il microscopio e l’analisi delle inclusioni. 

Riempimento di fessure e cavità 

Con vetro 

Il vetro comune (diossido di silicio) è stato ampiamente utilizzato per riempire cavità e fratture nei rubini sin dagli anni '80 (fu descritto già nel 1984). 

Questo sistema ha lo scopo di migliorare l’aspetto dei rubini (in particolare quando visti a faccia in su) e può aggiungere peso (se le fessure sono cave). 

Con vetro al piombo 

Questo trattamento risale ai primi anni 2000 e normalmente aumenta trasparenza e luminosità alle gemme che, così alterate, possono sembrare rubini più costosi. 

Il processo non è permanente e può essere danneggiato quando le pietre non vengono maneggiate e pulita con cautela. 

Con altri materiali 

Dopo aver rimosso le impurità evidenti, il rubino viene portato a temperature comprese tra 900–1.400 ° C (questo processo può, a volte migliorarne anche il colore). 

Quando la pietra raggiunge il valore di calore desiderato, su di essa vengono versate delle polveri speciali (soprattutto piombo e silice ma anche sodio, calcio, potassio e ossidi metallici come rame o bismuto) e si riporta il composto ottenuto a circa 900 ° C, per far penetrare gli additivi nelle sue fratture. 

La gemma viene quindi raffreddata e tagliata. 

Il Borax 

Sempre dagli inizi degli anni ’80, anche un’altra sostanza è entrata a far accrescere la già folta schiera di trattamenti: il borax (o sodio tetraborato decaidrato). 

L’aggiunta di questo tipo di materiale fondente (flux), sciolto durante la fase di riscaldamento, aiuta a prevenire le fratture causate da shock termico e abbassa il punto di fusione del materiale introdotto. 

Successivamente, attraverso l’aggiunta di quantità submicroscopiche di corindone sintetico, che si solidificano quando la gemma si raffredda, si ottiene una chiusura e copertura delle fessure che vengono così “guarite”. 

Questo materiale è molto comune e facile da reperire. 

Con oli, tinte e polimeri 

L'oliatura è un altro modo per riempire le fratture superficiali e migliorare il colore della gemma. 

Una volta questa era una pratica tipicamente associata agli smeraldi, ma di recente sta diventando piuttosto diffusa anche per i rubini di bassa qualità e gli spinelli. 

I riempitivi d'olio sono meno stabili del vetro. 

Gli oli evaporano nel tempo, lasciando una gemma poco attraente e con fratture molto visibili. 

La maggior parte delle pietre che presentano questa forma di manipolazione proviene dal Myanmar, dove molti venditori considerano la lubrificazione come una procedura standard. 

In aggiunta agli oli semplici, esistono anche delle tinte, liquidi rossi comunemente usati per migliorare il colore delle pietre (a Chanthaburi, in Thailandia, è venduto con il marchio "King Ruby Red Oil"). 

Rivelamento del trattamento: Normalmente, tutti questi trattamenti sono messi in evidenza attraverso esami visivi con l'ausilio di strumenti d’ingrandimento (differenza di colore, lustro, trasparenza, presenza di bolle d’aria). 

Diffusione 

Verso la metà degli anni ’90, venne silenziosamente introdotto un sistema innovativo per creare tinte rosse nel corindone sfaccettato incolore o di colore chiaro. 

Questo metodo passò inosservato per un certo tempo prima che i laboratori gemmologici ne scoprissero la presenza sul mercato. 

Il materiale fatto penetrare attraverso la superficie delle pietre (spesso meno di un mm), non è quello responsabile per la colorazione del rubino, cioè il cromo III o Cr3+, ma l’ossido di cromo (CrO3, che sostituisce gli atomi di alluminio). 

I campioni prescelti vengono immersi in una soluzione contenente 3 - 6% di questo composto inorganico e vengono posti in un crogiolo di alluminio. 

Essi vengono quindi sottoposti a temperature che variano tra i 1600 ° C e i 1850 ° C, in ambiente ossidante (in grado di cedere atomi di ossigeno in una reazione di ossido-riduzione). 

Il tempo di riscaldamento può variare grandemente (da 2 a 200 ore). 

Da una decina d’anni si sa che il cromo penetra più in profondità all'interno dei campioni di corindone irradiati con fascio elettronico, ma esemplari sembrano trattati non sembrano essere presenti sul mercato. 

Il tipo di modificazione superficiale stessa è relativamente poco frequente nel rubino, ma più comune per lo zaffiro (blu) e lo zaffiro Padparadscha (arancione-rosa). 

Rivelamento del trattamento: Con la dovuta conoscenza, questo intervento non è difficile da individuare: di aiuto possono essere l’utilizzo di luce diffusa e immersione; attraverso l’osservazione minuziosa si possono scorgere concertazioni di colore a macchia e/o lungo i bordi delle faccette. 

Anche la fluorescenza non omogenea può essere misurata da strumenti di laboratorio (per esempio quella a raggi X o XFR), ma non quelli gemmologici standard. 

In alcuni casi, le gemme così trattate mostrano Indice di rifrazione (RI) doppio; quello tipico del corindone (1.762-1.770) abbinato ad un'altra serie di ombre i cui valori di 1.779-1.789 sono anomali per questa pietra. 

Mentre i rubini semplicemente “cotti” possono essere molto costosi, tutti quelli alterati con i sistemi sopra elencati hanno un valore molto basso. 

Stabilità dei trattamenti e cura delle gemme 

Sottoporre a sollecitazioni materiali di partenza pesantemente inclusi (bassa qualità) può causare fessure e crepe (problema di durabilità), indipendentemente dal metodo di trattamento. 

Nonostante la sua durezza (9 sulla scala di Mohs, 400 sulla scala assoluta), il rubino deve essere maneggiato con una certa cura, poiché può essere internamente fragile (per la presenza di inclusioni) e ulteriormente indebolito da queste modifiche artificiose. 

Divulgazione dei processi di alterazione delle gemme 

La divulgazione dei trattamenti è sempre stato un punto dolente del mercato delle pietre preziose. 

Considerato l’altissimo valore che alcuni rubini naturali possono comandare, non stupisce se qualcuno cerchi di replicarne le caratteristiche, o si dimentichi di rendere noti piccoli interventi umani che rimuovano, oltre che a imperfezioni e tinte indesiderate, anche la parola “naturale” dagli attributi di queste gemme. 

Purtroppo alcuni venditori, lungo tutta la catena commerciale, tengono le labbra cucite quando si tratta di far sapere al potenziale cliente la presenza di alterazioni di colore o limpidezza. 

Questa mancanza di trasparenza non riguarda semplicemente le informazioni parziali o non corrette fornite da operatori poco onesti del settore, ma anche dalla loro volontà di non fare troppe domande ai propri fornitori. 

Ovviamente, non tutti sono così ed esistono moltissimi gioiellieri e mercanti di gemme che comunicano con chiarezza la panoramica completa delle qualità dei loro prodotti. 

Conoscenza e franchezza sono doti, per questo motivo, apprezzate da parte dei compratori. 

Non tutte le modifiche apportate dai commercianti di gemme hanno lo stesso peso sul prezzo finale. 

Il trattamento termico è ormai un fatto acquisito nel mondo dei preziosi e viene normalmente reso noto; le altre forme d’intervento, che implicano fortissime cadute dell’importo da versare, non sono sempre confessate con altrettanta disinvoltura. 

Va detto che le gemme così alterate raramente giungono nelle vetrine nelle gioiellerie italiane ed europee; esse sono più tipiche dei luoghi esotici da cui esse provengono oppure dei grandi mercati asiatici dove vengono acquistate. 

In sintesi, i rubini trattati esistono e sono da sempre parte del mercato. 

Senza di essi solo poche persone avrebbero la possibilità di adornarsi di questi piccoli tesori rossi. 

Se propriamente presentati, essi permettono di possedere splendide gemme, molto simili in apparenza ai costosissimi cristalli color “sangue di piccione” ad un costo appetibile anche per coloro che non vanno in giro con i milioni nel portafoglio. 

È doveroso comunque ricordare che, quando ci si avvicina a questo mondo, la cautela non è mai troppa, anche in considerazione del fatto che alcune (per fortuna rare) alterazioni di colore e limpidezza dei rubini e di altre pietre preziose vengono scoperte, spesso in maniera fortuita, anni dalla loro introduzione sul mercato. 

Articolo di: Dario Marchiori

Fonti: ruby-sapphire.com, git.or.th, cisgem.com, gia.edu, daysjewelers.com, lotusgemology.com, gemologyproject.com, gemstonebuzz.com
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