Il Diamante Occhio dell'Idolo | Rare diamonds, gems, jewelry, gemology and NFT
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L'Idol's Eye (Occhio dell’Idolo in italiano) è un diamante da 70,21
carati (fonti minori lo pongono a 70,20).

Da alcuni ritenuto il più grande diamante azzurro al mondo. Secondo il sistema di classificazione dell’Istituto Gemmologico Americano, tuttavia, esso non raggiunge la pienezza di colore per essere considerato un diamante Fancy/Fantasia; la gemma possiede infatti solo una sfumatura azzurra.

L’Idol’s Eye è anche caratterizzato da un taglio particolare, indicato come una raffinata combinazione tra un Old Mine (a Vecchia Miniera in italiano), un Vecchio Golconda e uno Triangolare a Brillante (Modificato, con nove faccette principali invece di otto).

La sua leggera sfumatura celeste e le registrazioni dell’esistenza di antichi idoli indù adornati con diamanti nei templi dell'India centro-meridionale ha portato a concludere che provenisse dai favolosi depositi di Golconda, appunto in India.

Come molte altre gemme antiche, anche l’Occhio dell’Idolo ha una storia parzialmente celata dal mistero.

Una delle tante leggende che lo riguardano lo vede come parte (uno degli occhi) di un a statua ospitata in un tempio di Bengasi, una città di religione musulmana sulle coste della Libia.

Nelle moschee islamiche non vi sono statue; questa nozione, da sola, sembrerebbe invalitare tale ipotesi.

Inoltre, se le asserite radici africane di questa gemma fossero accertate, questo fatto rivoluzionerebbe la storia dei diamanti.

È difficile, tuttavia, che sia proprio questa pietra a straveolgere la tradizionale secondo la quale il continente nero non produsse diamanti conosciuti fino alla seconda metà dell’Ottocento.

L’alone di mistero legato all’Idol’s Eye è, in parte, attribuibile alla forma arrotondata, a forma di goccia (o a triangolo a brillante modificato), della gemma, per alcuni simile ad un occhio.

Nonostante nome ed taglio suggestivi, la pietra non sembra essere tra le gemme considerate maledette.

Alcuni storici fanno risalire la prima menzione della pietra a Le mille e una notte (Arabo: أَلْفُ لَيْلَةٍ وَلَيْلَةٌ, ʾAlf Laylah wa-Laylah), una celebre raccolta di racconti orientali (di origine egiziana, mesopotamica, indiana e persiana), costituita a partire dal X secolo, in un’era conosciuta come l'Età d'Oro Islamica.

Oggi si sa che questa collezione fu costruita sulla base di novelle e racconti morali indiani, storie persiane di magia e di creature invisibili, raccolti e tradotti in lingua araba partendo circa dall'ottavo secolo.

Nel Volume I, Capitolo:

Il Racconto del Portatore e delle tre Giovani Ragazze, storia: Il Racconto di Zubaidah, la Prima delle Ragazze (forse Zubaidah bint Ja`far ibn al-Mansur 766?-831 d.C., moglie di Harun al-Rashid, la più conosciuta delle principesse abbasidi)., si trova una breve menzione di un gemma straordinario: “Mi avvicinai e scoprii che la luce proveniva da un diamante, grande come un uovo di struzzo, disteso su uno sgabello accanto al letto e brillante in tutte le sue sfaccettature, così che l'intera sala si riempì di splendore.

Sebbene il diamante li eclissasse completamente, le torce lo erano illuminate; perciò dedussi che qualche mano umana era vicina….”.

Non esiste maniera di determinare se tale diamante sia realmente esistito e se, in effetti, si trattasse dell’Occhio dell’Idolo.

Un’altra teoria comune, asserisce che questo grande diamante sia stato sequestrato, nel 1607, al principe persiano, Rahab, dalla Compagnia Britannica delle Indie Orientali (allora appena nata) per ripagare debito, tuttavia nei documenti dell’epoca tale transazione non appare.

La prima apparisione certa della pietra avvenne oltre 2 secoli dopo, ad una vendita di Christie's a Londra, nel 1865.

Esso fu assegnato ad un misterioso compratore semplicemente designato come "BB". Più avanti si scoprì che tale acquirente era probabilmente Abdul Hamid II (1842-1918).

Il monarca turco, 34° Sultano dell’Impero Ottomano, era stato anche il possessore, per breve tempo, del famoso diamante blu chiamato Hope, che aveva acquistato proprio da quel Lord Francis Pelham Clinton Hope, discendente di Henry Thomas Hope, che aveva dato il attuale nome alla pietra.

Si narra che, invece di aver “vinto” il grosso cristallo, allora conosciuto come il "Diamante Bianco Blu Golconda", ad un asta, il sultano lo avesse ottenuto come riscatto per il rilascio della Principessa Rasheetah, figlia dello Sciecco del Kashmir, da lui rapita.

Tuttavia, anche in questo caso, non sono state identificate prove storiche a riguardo.

Abdul Hamid II era noto con soprannomi quali "Il Grande Khan", "il Sultano Rosso", "Abdul il Dannato" e "il Grande Assassino" per la sua crudeltà. 

Fu deposto nel 1909 e morì nove anni dopo, nel 1918, dopo aver perso sia il suo regno che i suoi tesori.

Il 24 giugno dello stesso anno, appunto il 1909, l'Idol's Eye riapparve ad un’altra asta, questa volta a Parigi, dove fu aggiudicato ad un (anonimo) nobile spagnolo.

L’aristocratico iberico decise di conservar la gemma in una banca londinese.

Nel 1947, la pietra passò nelle mani del famoso gioielliere newyorkese Harry Winston e dal lui a May Bonfils Stanton, figlia di Frederick G. Bonfils editore e co-fondatore del quotidiano Denver Post.

Il mito vuole che la silenziosa dama indossasse il diamante azzurro ogni mattina, durante la sua colazione solitaria.

Lady Stanton aveva accumulato una vasta collezione di gioielli, tra i quali, oltre all’Occhio dell’Idolo, c’era anche diamante Liberator da 39,8 carati (entrambi provenienti da Harry Winston), lo smeraldo Stotesbury, da 34,4 carati, una collana con 153 carati tra diamanti e smeraldi (comprata dal Maharajah di Indore), e un girocollo di diamanti, rubini birmani e platino del valore di $800.000.

Dopo la sua morte, nel 1962, i suoi gioielli, incluso l'Idol's Eye, vennero messi all'asta dalla Parke-Bernet Galleries, Inc. di New York. 

Il ricavato fu distribuito agli enti di beneficenza preferiti della Stanton.

L'offerente vincente per l'Occhio dell’Idolo, fu il gioielliere di Chicago Harry Levinson, che se lo accaparrò per $ 375.000. 

Cinque anni dopo, Levinson prestò la pietra alla compagnia DeBeers per il suo Diamond Pavilion a Johannesburg, in Sud Africa.

Anche Laurence Graff pose, successivamente, gli occhi sul brillante “Odolo” e nel 1979 lo comprò e lo espose al Metropolitan Museum of Art di New York.

Nel 1983, la gemma cambiò padrone per l’ennesima volta ed insieme ad altri importanti diamanti, come quello chiamato Imperatore Massimiliano, da 41.94 carati e quello giallo fantasia da 70,54 carati, chiamato Sultan Abdul Hamid II (proveniente dallo stesso antico proprietario) finì (si dice, ma non è certo) tra i tesori di Imelda Marcos, moglie dell'ex presidente-dittatore delle Filippine, Ferdinand Marcos.

La vendita di queste 3 pietre, stimata in circa 10 milioni di dollari, fu considerata in quel tempo una delle transazioni più costose mai registrate nel mondo dei preziosi.

Il mandato di Marcos, come presidente, terminò bruscamente quando venne rimosso dall'incarico nel 1986.

Alla sua morte, il diamante azzurro scomparve dalle sue proprietà (se mai fosse stato lì, in primo luogo).

Nel 2001 la gemma riemerse, quando fu acquisita da Robert Mouawad, alla testa dell’azienda di famiglia, originaria del Libano, che produce e vende gioielli, oggetti d'arte e orologi di lusso.

Più recentemente, nel 2014, essa raggiuse la sua destinazione finale (attuale), ospitata tra i vari tesori della Fondazione Al Thani.

La Fondazione, creata dallo Sceicco omonimo (l’Emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, nato nel 1980), ha tenuto esposizioni presso le principali istituzioni di tutto il mondo quali il Metropolitan Museum of Art, New York (2014–15); Victoria and Albert Museum, Londra (2015–16); Museo Miho, Koka (2016); Museo del Palazzo, Pechino (2017); Grand Palais, Parigi (2017); Palazzo Ducale, Venezia (2017–18); Castello di Fontainebleau (2018); Legion d'Onore, San Francisco (2018); Museo Nazionale di Tokyo (2019); e Museo statale dell'Ermitage, San Pietroburgo (2020).

Oggi (2022) essa ha trovato uno spazio espositivo all’interno dell'Hôtel de la Marine, situato in Place de la Concorde, nel cuore di Parigi.

Un’ultima nota, l’Occhio dell’Idolo viene talvolta confuso con il Nassak, noto anche come "Diamante di Nassac" o l'”Occhio dell'idolo” (in inglese the Eye of the Idol, quindi diverso diamante di 70,20 carati, chiamato appunto Idol’s Eye), una pietra di 43,38 carati che fu estratto, nel XV secolo, nella miniera di Amaragiri situata a Mahbubnagar, Andhra Pradesh, India.

Sembra certo che Nassak abbia adornato la statua di Shiva nel tempio di Trimbakeshwar Shiva, vicino a Nashik, nello stato del Maharashtra, tra il 1500 ed il 1817.

La Compagnia Britannica delle Indie Orientali lo acquisì durante la terza guerra anglo-maratha (1817–1819) e lo vendette ai gioiellieri inglesi, Rundell and Bridge (che lo ri-tagliarono), nel 1818.

Nell 1970, il Nassak fu venduto all'asta a Edward J. Hand, un dirigente di un'azienda di autotrasporti di Greenwich, nel Connecticut.

La gemma è probabilmente ancora parte dei tesori dei suoi discendenti.


Fonti: langantiques.com, jewellermagazine.com, famousdiamonds.tripod.com, navrangindia.in, internetstones.com, gia.edu, info-diamond.com, weldons.ie, assetsure.com, mafiawars.fandom.com.

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