La Luce Nascosta dei Diamanti: la Fluorescenza | Rare white and fancy color diamonds, gems and jewelry

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La luminescenza è in fenomeno naturale che si manifesta in piante, animali e anche nelle pietre preziose.

Nel caso di diamanti e rubini, questa caratteristica viene chiamata “fluorescenza” (o fosforescenza se questa perdura).

Questa proprietà permette ad alcune gemme di assorbire energia e di riemettere le radiazioni elettromagnetiche ricevute, in particolare quelle ultraviolette (UV), in forma di luce visibile.

Questa peculiarità si riscontra anche in una parte consistente di tutti i diamanti e il suo impatto sull'aspetto e sul valore di queste pietre fu oggetto di accesi dibattiti per molti anni, con opinioni commerciali divergenti.

Un po’ di storia

In Europa, prima dell'età delle certificazioni, il colore dei diamanti più apprezzato era il cosiddetto “blu-bianco” (blue-white in inglese).

Questo termine descriveva i diamanti quasi incolori (fino alla gradazione di “giallo tenue”, anche denominati Cape), che talora mostravano fluorescenza blu; queste pietre venivano, a quel tempo, attivamente ricercate dai commercianti proprio grazie al loro affascinante effetto "ghiaccio".

Fino agli anni ’30 del secolo scorso, tale attributo implicava un prezzo maggiore e forniva una valida alternativa ai diamanti blu fantasia (fancy), che erano molto più rari.

Nel 1938, negli USA - il mercato maggiore per queste pietre - l’FTC (Federal Trade Commission) bandì il termine blu-bianco, perché’ troppo vago e a volte ingannevole.

Alcuni anni dopo, a a partire dai primi anni ’40, venne introdotta la scala 4C del GIA (l’Istituto Gemmologico Americano).

La creazione di standard misurabili portò ad un profondo cambiamento della percezione dei consumatori verso i diamanti.

Ogni fattore addizionale a quelli riportati dai primi certificati ufficiali (quelli del GIA in primis) diventò per molti un elemento negativo.

Negli anni ’70, i commercianti cominciano ad offrire sconti per i diamanti chiamati “D lattiginosi” (milky Ds), cioè quelli che mostrano una forte fluorescenza.

All’inizio degli anni ’90, i russi immisero sul mercato una gran quantità di diamanti con questo effetto ottico e nel 1993, un esposto dei gioiellieri sudcoreani portò alla ribalta la questione della fluorescenza, che in alcuni rari casi portava alcune gemme ad avere un aspetto non piacevole, accrescendo la mala fama di dei diamanti dotati di luminescenza.

Da quel momento queste gemme iniziarono a ricevere sconti che variavano dall’10 al 25%.

Uno studio del 1997, condotto dal GIA, concluse che, nella maggior parte dei casi, questa caratteristica non influisce in maniera significativa sull'aspetto (a faccia in su) di un diamante.

Nel 2018, l’HRD di Anversa pubblicò un nuovo documento importante sullo stesso argomento, seguito, nel 2019, da un trattato dell’AGS (American Gem Society).

In quest’ultimo studio, dei 5 livelli di fluorescenza del diamante utilizzati dal sistema GIA (nullo, debole, medio, forte, molto forte), la società nordamericana raggruppò le prime 2 categorie, nessuno e debole, sotto la definizione di trascurabile.

Questa valutazione si appoggiò al fatto che esiste un accordo nel mondo della gioielleria, più o meno condiviso, secondo cui questi 2 valori non influiscono sull’aspetto visuale delle gemme.

Dopo l’attento esame di molti diamanti, si comprese che il 94% di tutti quelli fluorescenti rientrava in questo gruppo, il 3.6% mostrava una fluorescenza media, l’1.5% una forte e solo lo 0.34% una molto forte.

In pratica, questo voleva dire che una minima parte dei diamanti in commercio subisce un effetto negativo apprezzabile.

Seguendo tale ottica, è possibile che in futuro queste gemme riassumano un posto meno marginale nel mercato dei preziosi.

Fluorescenza e colori

L’effetto della fluorescenza nei diamanti non è dovuto ad un unico fattore ma a una serie di fenomeni che si verificano a livello atomico.

I diamanti possono mostrare fluorescenza in una varietà di colori: rosso, giallo, verde, arancione e bianco, ma il blu è il più comune (±90%).

Si stima che circa tra il 30 e il 50% di tutti i diamanti sia dotato di questa caratteristica.

In maniera semplicistica, si può dire che tale proprietà è generalmente causata dalla presenza di posti vacanti e sostitutivi nel compatto reticolo tetraedrico del carbonio, innescate dalla presenza di piccole impurità formate dagli atomi di azoto.

Questi piccoli vuoti costituiscono la maggior parte delle cause dei centri di fluorescenza colorata nel diamante.

Anche la presenza di boro può portare a tale fenomeno (nei diamanti di tipo 2B).

La fluorescenza nel 2020

Prima della crisi portata dal Covid19, nuova enfasi veniva data da de Beers e altre importanti case di gioielleria sull’unicità dei diamanti naturali.

All’interno di questa cornice anche la rivalutazione di questo effetto ottico sembra essere stato preso in considerazione.

Alcune case di gioielleria propongono adesso monili che mostrano dei disegni particolari quando sono colpiti da sorgenti luminose UV.

La fluorescenza è anche diventata un fattore per la separazione di diamanti naturali da quelli trattati o quelli sintetici, ma questo argomento richiederebbe un intero nuovo capitolo.

Articolo di: Dario Marchiori

Fonti: 77diamonds.com, ncbi.nlm.nih.gov, gia.edu, G&G, gemsociety.org
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