“I diamanti sintetici sono meno dannosi per l’ambiente,” questo è il mantra che gira da qualche tempo nel mondo dei consumatori di preziosi, ma come si confronta questa dichiarazione con i dati reali?
La semplice panoramica di dettagli che segue (l’attendibilità delle fonti è a discrezione del lettore) illustra i costi, in termini di contaminazione del territorio, legati sia all’estrazione dal sottosuolo che alla produzione in laboratorio di queste gemme di altissimo valore.
Va tenuto conto che non sempre i parametri selezionati sono scelti in maniera oggettiva per rappresentare con giustizia e imparzialità le condizioni che si vogliono comprendere; tipicamente vengono proposti aspetti che promuovono l’una o l’altra categoria e, come spesso succede, una visione equilibrata dei fatti è rara quanto le pietre stesse.
Questo breve trattato si propone di fornire alcuni elementi di riflessione per poter comprendere come le 2 categorie, diamanti naturali e artificiali, influiscano sul territorio circostante.
Molti dei dati riportati risalgono al 2019, ultimo anno in cui il settore si è mosso a pieno ritmo, prima della chiusura totale o parziale di molte attività , chiusura imposta delle politiche legate all’avvento del Covid19.
Alcune necessarie premesse
La stragrande maggioranza delle miniere, o depositi primari, dalle quali le gemme vengono recuperate direttamente, sono in località piuttosto fuori mano e normalmente a bassa densità di popolazione.
Si pensi per esempio alla Mir, nella Siberia russa, alla miniera Argyle, parte della regione del Kimberley orientale nel remoto nord-ovest dell'Australia e a quelle canadesi di Diavik e Ekati, in lande di terra frequentemente coperte da ghiacci.
Anche i giacimenti più vicini alle aree abitate, come quelli di Sudafrica, Botswana e Angola, per esempio, sorgono lontani da grandi centri popolati.
Altro discorso, completamente differente, è quello che riguarda i depositi secondari (per esempio molti di quelli dell’India, Brasile, Indonesia e stati africani come il Sierra Leone), legati ai corsi d’acqua (ancora presenti o no), che richiedono strutture, modus operandi e conseguenze sulla natura locale completamente diverse da quelle dei grandi stabilimenti estrattivi creati intorno ai depositi primari.
In questo tipo di ambiente, le operazioni di recupero sono a basso impatto ambientale, il fattore di preoccupazione, eventualmente, riguarda le condizioni di vita e di lavoro dei minatori.
È certo che tutte le azioni umane comportano, in una maniera o nell’altra, delle conseguenze per il paesaggio circostante e vanno di volta in volta valutate le ripercussioni, sia a breve che a lungo termine, su di esso.
Anche le iniziative che coinvolgono aree sparsamente popolate si riflettono su piccole comunità , ma non vanno necessariamente ignorate o sottovalutate.
Un ultimo accenno va rivolto alla tecnologia utilizzata: essa avanza ad un passo corrispondente alla volontà di investire sul suo sviluppo.
Ogni progresso dipende da quanti soldi e sforzi si infondono in un determinato settore.
Si pensi, per esempio, alla differenza di sviluppo tecnologico tra i telefonini e quello motori delle macchine: I primi sono “esplosi nel giro di un paio di decadi, le seconde sono rimaste sostanzialmente invariate, nelle prestazioni di base, in oltre un secolo.
Sia nel caso delle pietre che si formano nella terra che in quelle che “crescono” in laboratorio, la parte tecnica e tecnologica è di primaria importanza, sia per quello che riguarda l’efficienza di produzione, che per il suo consumo energetico che per quanto si attiene alla produzione di rifiuti.
Tutti gli aspetti finora nominati hanno un comune denominatore: i costi.
Per aprire una miniera di diamanti naturali ci vuole una montagna di soldi
Le esplorazioni, gli studi e i test propedeutici all’inizio delle operazioni estrattive sono lunghi e onerosi.
Le difficoltà aumentano notevolmente in località remote e le cui condizioni ambientali non sono favorevoli all’insediamento umano:
- i deserti africani e australiani, poveri di risorse d’acqua (indispensabili sia per coloro che lavorano e vivono nella zona, che per le attività di recupero delle gemme), di infrastrutture e di energia
- le aree glaciali russe e canadesi, coperte di una coltre di gelo per buona parte dell’anno, con tutte le problematiche che ne conseguono.
Non è inusuale, anzi quasi una regola, che intorno alle miniere si costruiscano centri abitati completamente nuovi (con relative conseguenze sulla terra colonizzata, inclusa la richiesta di manodopera locale).
Prima di poter iniziare le operazioni, sono necessari però che siano presenti molte condizioni preliminari.
Per cominciare, l’individuazione di uno dei circa 6400 camini kimberlitici conosciuti (dati GIA), 3400 dei quali già ampiamente sondati, mentre i rimanenti 3000 ancora in fase di analisi, è una questione già di per sé decisamente complicata.
I camini kimberlitici, con la loro forma che ricorda vagamente una carota, sono la parte terminale di strutture geologiche create da violente eruzioni (l’ultima delle quali è avvenuta milioni di anni fa).
Queste strutture solo occasionalmente ospitano dei diamanti.
Una volta scoperto uno di questi tubi, la cui identificazione è tutt’altro che semplice, sono necessarie degli esami specifici che richiedono anni (in inglese: kimberlite-bulk e mini-bulk, micro-diamond and advanced sampling for micro- then macro-diamonds).
Attraverso questi test sequenziali si determinano quantità e qualità dei cristalli contenuti nella kimberlite per stabilire se le loro caratteristiche possano coprire finanziariamente l’investimento fatto e fornire un profitto sufficiente per gli anni avvenire.
In parole povere, alla radice di un progetto immenso, quale quello della creazione di una miniera di diamanti, ci vogliono molte competenze, molti anni e molto denaro.
Nel caso dei diamanti sintetici, invece, le operazioni di apertura e mantenimento, che variano da stato a stato, sono comunque calcolabili, senza dover scommettere un grosso patrimonio iniziale al buio.
Vale anche la pena confrontare questi due pianeti sotto tutti gli aspetti disponibili.
Al momento, diamanti naturali e artificiali vengono considerati come “in contrasto”.
Esperti del settore ritengono, tuttavia, che essi potrebbero sostenersi vicendevolmente se le operazioni d’informazione e marketing li promuoveranno in maniera appropriata, così come hanno già fatto, in passato, con altri articoli simili, quali smeraldi, rubini e zaffiri.
Queste gemme condividono, appunto, il loro mercato con le loro controparti sintetiche da circa un secolo.
La loro convivenza non ha danneggiato l’una o l’altra classe di pietre, anzi ne ha forse promosso la conoscenza da parte di un pubblico più ampio.
E’ noto che coloro che possono permettersi monili di alto costo raramente considerano pietre preziose di “minore valore”, mentre coloro che preferiscono gioielli più alla mano sono lieti di poter potersi liberamente adornare con materiali artificiali, spendendo una frazione del costo di gemme naturali.
Per quanto riguarda i diamanti, questa contrapposizione è piuttosto recente. Nonostante che esemplari sintetici esistano sin dagli anni ’50, le prime pietre di qualità gemma risalgono ai primi anni ’70.
Per molti decenni la loro creazione è rimasta, tuttavia, troppo costosa e complessa per poterla utilizzare in maniera diffusa.
La produzione in massa di tali cristalli è diventata possibile solo una decina di anni or sono; questo dato lo si può facilmente indurre dall’andamento dei loro prezzi.
Si consideri anche il fatto che i primissimi diamanti artificiali messi in commercio erano di norma colorati (gialli di solito) e la loro limpidezza non ottimale (VS o S sulla scala GIA).
Nel giro di un paio di lustri, queste limitazioni iniziali non solo sono state rimosse, ma le spese necessarie per creare dei diamanti di ottima qualità si sono ridotte notevolmente (vedere tabelle allegate).
I dati proposti qui di seguito, relativi hanno la funzione di aiutare a comprendere l’attuale status quo di entrambe le categorie di pietre.
Storia dei prezzi per carato
Mentre negli ultimi 20 anni l’estrazione dei diamanti naturali è rimasta relativamente costante (130-170 milioni di carati annuali, picco massimo nel 2005, con 177 milioni di carati), l’output di quelli fatti in laboratorio è in fortissima crescita:
Milioni di carati per anno:
Prezzo in dollari USA (approssimazione basata su dati disponibili, i prezzi variano in maniera marginale su base mensile)
L’altra faccia della medaglia, l’aspetto che chi compra questi piccoli “capricci” spesso non conosce, riguarda i costi pagati dal territorio e dalle sue risorse e dalle piccole e grandi comunità .
Anche in questo caso, la lettura degli elementi statistici rilevati va fatta on cautela.
Una piccola raccolta di variabili:
- Paese: disponibilità e costi di manodopera, manufatti, energia e acqua
- Tipo di deposito: primario o secondario
- Rapporto Carato-tonnellata (quantità e valori) delle varie miniere,
- Ubicazione del giacimento (prossimità a risorse idriche ed energetiche)
- Vicinanza a centri abitati (le miniere siberiane o desertiche impattano in maniera marginale le popolazioni dei rispettivi stati)
- Condizioni dei minatori (stipendio, orario di lavoro, condizioni di vita)
- Modernità di strumenti e macchinari
- Politiche del governo locale e/o nazionale
- Iscrizione al KPCS (Kimberley Process Certification Scheme)
- Trasparenza e affidabilità delle autorità che controllano i parametri
- Anni in operazione (le miniere più vecchie si basano su macchinari antiquati e difficilmente rimpiazzabili).
Il KPCS e le sue ripercussioni
Il paese di provenienza di diamanti naturali o sintetici è spesso visto, dal consumatore moderno, come un altro importante fattore di distinzione tra i due tipi di pietre.
Se è vero che alcune delle gemme hanno origine in luoghi dilaniati da sanguinose lotte intestine, è altrettanto giusto aggiungere che una parte delle pietre sintetiche viene creata in paesi governati da regimi autoritari, se non dittatoriali (almeno a detta di molti sistemi politici occidentali).
Alcuni stati, soprattutto nel continente africano, sono da anni afflitti da guerre o contrasti interni, nei quali governi corrotti o fazioni politiche violente utilizzano i diamanti per sostenere le proprie iniziative.
Il Kimberley Process (KP) o Kimberley Process Certification Scheme (KPCS) è un accordo, nato nel 2000, per discutere e ridurre il legame problematico tra produzione di diamanti e guerre nei paesi d'origine.
Attualmente, questo progetto conta di 55 partecipanti che rappresentano 82 stati e riguarda ufficialmente circa il 99% delle pietre acquistabili.
I requisiti che uno stato deve soddisfare per poter partecipare allo schema di certificazione sono:
- che i diamanti provenienti dal paese non siano destinati a finanziare gruppi di ribelli o altre organizzazioni che mirano a rovesciare il governo riconosciuto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.
- che ogni diamante esportato sia accompagnato da un certificato che provi il rispetto dello schema del Kimberley Process
- che nessun diamante sia importato da, o esportato verso, un paese non membro del Kimberley Process.
Va rimarcato che questo schema si riflette su una percentuale minore delle gemme sul mercato.
Sul fronte delle gemme artificiali, i maggiori produttori sono (dati di statista.com, 2019): Cina (56%), India (15%), USA (13%), Singapore (10%), Russia (2%), UK (1%), altri (3%). Per saperne di più leggere anche: La tracciabilità dei diamanti
Ulteriori parametri
La seguente comparazione, basata sui dati disponibili, mostra il consumo energetico e il presunto impatto ambientale dei due tipi di diamanti.
La forza lavoro, soprattutto in stati con basso reddito pro-capite, è un elemento che va messo in questo ideale paniere di caratteristiche che separano le due categorie.
Nel caso delle pietre sintetiche, il numero di persone impiegate è molto basso, non paragonabile a quello richiesto per l’estrazione dalle miniere.
La tabella qui riportata dovrebbe fornire una panoramica (approssimativa) di quanto la lavorazione dei diamanti incide sull’utilizzo di personale umano e sul relativo peso sull’economia locale del paese in cui tale industria opera.
Come spesso succede nel caso di un confronto diretto tra due categorie complesse, quale quelle dei diamanti naturali e quelli sintetici, la lettura dei dati disponibili non porta ad un responso definitivo, ma apre una serie di ulteriori quesiti.
Dalla lettura dei parametri rilevati, i cui indicatori sono stati selezionati minuziosamente, sembrerebbe evidente che i diamanti prodotti in laboratorio siano meno impattanti sul territorio di quelli ottenuti attraverso l’estrazione mineraria, tuttavia tale scelta omette altri fattori che il buonsenso consiglierebbe di tenere in conto, per esempio la collocazione dei depositi, la possibilità di ripristinare il territorio una volta esaurita l’estrazione delle pietre, il potenziale riciclaggio di certe risorse, come acqua, terra ed una parte dell’energia utilizzata.
Il nodo centrale rimane sempre legato all’effettiva volontà , da parte di governi e compagnie, di investire in macchinari ed azioni concrete che riducano il grado di inquinamento e che siano minimamente invasivi rispetto ai luoghi colonizzati.
Le possibilità d’impiego, di supporto di intere economie nazionali (stati come il Botswana devono una grossa fetta del loro prodotto interno lordo alle loro miniere di diamanti) non vanno omesse o minimizzate.
Ci si augura che i futuri sforzi di società e individui vengano rivolti all’effettiva funzionalità dei processi di protezione dell’ambiante, piuttosto che alla loro funzione rappresentativa o politica.
Articolo di: Dario Marchiori
Fonti: brides.com, emagazine.com, valthegemgal.com, jamesallen.com, bain.com, statista.com, digilander.libero.it, dizionari.corriere.it, labdiamondcvd.com, diamonds.net, pastel.archives-ouvertes.fr, diamondfoundry.com, kimberleyprocess.com, verite.org, worldstopexports.com,