Sotto lo Scintillio (Parte 1) | Rare diamonds, high jewelry - Luxury eCommerce

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le profondità nascste dell'estrazione delle gemme

Ogni pietra scintillante ci propone due facce: una di abbagliante bellezza e l’altra sepolta nelle oscure vene della Terra. 

Dalle fosse scavate a mano, ai pozzi da miliardi di dollari che si immergono a chilometri di profondità, l'estrazione delle gemme ruota intorno a racconti di ambizione, resistenza e dell'eterna sete umana di brillantezza.

1. Dal Piccone al Trapano... al Plasma: l'Evoluzione dell'Estrazione delle Gemme

Un viaggio attraverso il tempo: come l'uomo è passato da modificare i letti dei fiumi agli scavi guidati dal laser.

L'attività mineraria ha spesso affiancato l'ascesa dell'umanità, dalla prima pietra scheggiata alla punta di diamante. 

L’ Atto Minerario Generale (General Mining Act) del 1872, ancora oggi legge vigente negli Stati Uniti, è una reliquia di un'epoca in cui la Terra sembrava infinita e le risorse inesauribili. 

Nato nello spirito dell'esplorazione di opportunità economiche, ha contribuito a forgiare una nazione di minatori e sognatori. Eppure oggi si trova a disagio tra due poli di pensiero: uno che celebra il progresso (e i soldi) e l'altro che ammonisce contro il costo ambientale dell'estrazione incontrollata. 

In nessun luogo questa tensione è più evidente che nell'estrazione delle gemme, dove la ricerca della bellezza intende suscitare meraviglia e conseguenze.

La storia inizia milioni di anni prima dell'Homo sapiens, quando i primi ominidi inizialmente raccoglievano sassi non per ornamento, ma per sopravvivenza. 

Selce e ossidiana divennero i primi tesori presi dalla Terra e trasformati in lame, asce e utensili che diedero agli uomi primitivi il loro primo vantaggio. 

Col tempo, la ricerca di queste rocce diede origine alle prime miniere: fosse poco profonde e pendii raschiati dove la pelle grezza del pianeta veniva sbucciata per rivelare ciò che si trovava sotto. 

Già nel 3000 a.C., gli Egizi scavavano gallerie per estrarre rame e turchese, con lo scopo di adornare tombe e templi di gemme. 

Questi piccoli minerali erano ritenuti portatori di potere divino. 

In quei momenti, l'attività mineraria varcò una soglia: dalla necessità alla venerazione. 

Le ossa della Terra erano diventate simboli di immortalità.

Con il progredire delle civiltà, il fuoco si tramutò da semplice fonte di alte temperature a fonte alchimica. 

La scoperta della fusione – l'estrazione dei metalli dalla roccia attraverso il calore – rivoluzionò la vita umana. 

Oro e argento, fusi e rimodellati, divennero le prime valute universali; rame e stagno vennero uniti, legati per creare il bronzo, più duro di entrambi presi singolarmente. 

Cobalto, mercurio e altri minerali entrarono a far parte di reti commerciali che attraversavano i continenti. La brillantezza dei materiali estratti divenne la misura stessa del progresso. 

A differenza dei metalli, le gemme non potevano essere semplicemente forgiate o replicate; dovevano essere trovate, cristallizzate dalla chimica celata della natura. 

La loro bellezza inalterabile conferiva loro un'aura di eterno: pura, magica e al di là della portata della creazione umana.

Evoluzione storica e tecnologica del mining delle gemme — Tabella cronologica (riassunto storico)

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Dalle miniere d'argento dell'antica Grecia ai giacimenti auriferi Maya, nel Nuovo Mondo, l'attività mineraria guidò l'espansione delle civiltà. 

Imperi sorsero e caddero grazie alla presenza o assenza di certi materiali preziosi. 

Atene prosperò grazie alle ricchezze delle miniere del Laurio, finché la guerra non le strappò via. 

Roma espanse oltre che al proprio dominio territoriale, la sua ricerca di metalli per coniare monete e armare le sue legioni. 

Mille anni dopo, l'afflusso di ricchezze minerarie dalle Americhe finanziò il fiorire del Rinascimento europeo. 

Col trascorrere dele epoche, minatori di ogni dove hanno cercato scavato più a fondo, sia letteralmente che moralmente, per sostenere i propri sogni (o meglio, quelli dei propri “signori”).

La Rivoluzione Industriale portò nuovi strumenti – trivelle a vapore, dinamite e trasportatori meccanizzati – trasformando l'attività mineraria in una conquista guidata dalle macchine. 

I pozzi sprofondarono migliaia di metri sottoterra, trasformando l'atto, un tempo mistico, di scoprire gemme in una sfida ingegneristica. 

Negli Stati Uniti, la corsa all'oro in California del 1848 accese una febbre nazionale che si diffuse in Colorado, Alaska e oltre. 

Il carbone seguì presto, alimentando un'era industriale che rimodellò continenti e atmosfere. 

Eppure, mentre metalli e combustibili alimentavano le fabbriche, le gemme rimasero oggetti di emozione e mito: i tesori personali nascosti in un mondo sempre più industrializzato.

Oggi, l'attività mineraria si presenta con evidenti contrasti. 

Mentre in alcune parti del mondo, meccanismi automatizzati o, addirittura, robotici estraggono il 98% dei minerali metallici con precisione chirurgica; in altre, uomini e donne scavano ancora a mano, lavando la ghiaia in bacinelle di legno per ottenere oro, zaffiri o spinelli. 

Le controversie che circondano l'attività mineraria moderna – dall'etica del lavoro ai costi ambientali dell'estrazione – hanno posto il settore a un bivio. 

L'estrazione di gemme, in particolare, incarna questo conflitto: fornisce mezzi di sussistenza a milioni di persone, ma può anche segnare la terra e sfruttare come schiavo chi la lavora.

La tecnologia continua a rimodellare questa pratica, offrendo la speranza in un futuro più pulito e rispettoso dell’ambiente. 

Immagini satellitari, rilievi con droni e trivellazioni guidate dall'intelligenza artificiale consentono ora agli addetti di localizzare i giacimenti con un impatto minore sull'ambiente. 

Nel frattempo, le gemme coltivate in laboratorio sono entrate più che nel mercato (rubini, zaffiri e spinelli artificiali sono in commercio da oltre un secolo), nelle pubblicità, nei dibattiti filosofici sull'autenticità e il valore. 

Queste gemme impeccabili (troppo perfette per essere veere), create dall'uomo, sono, in realtà, un'evoluzione dell'attività mineraria o un suo sostituto?

La verità è che l'attività mineraria incorpora nella sua essenza sia creazione che distruzione. 

Questi interventi sopra e sotto il suolo, hanno una natura il cui impatto viene frequentemente offuscato e dominato dal desiderio tutto umano rivolto al “dio denaro”. 

Man mano che il mondo diventa più affollato e consapevole, la sfida non è più quanto in profondità sia possibile scavare, ma quanto saggiamente si voglia continuare a farlo. 

Proprio come la storia della civiltà inizia sopra la superficie, quella delle gemme parte dalle profondità della terra.

2. Sotto la superficie: giacimenti di gemme primari e secondari

Alla scoperta dei luoghi in cui nascono e si nascondono le gemme: la scienza e il fascino di trovare tesori sia nella roccia solida che nelle pianure alluvionali.

L'attività mineraria non si ferma in superficie, ma inizia dove i ricordi della Terra sono sepolti più in profondità. 

Dopo la breve storia dell’evoluzione della tecnica mineraria, la ricerca della bellezza ora si immerge ulteriormente sotto la pelle del pianeta stesso. 

Ogni gemma è un frammento di tempo geologico, trasportato da un regno all'altro, plasmato sia dalla violenza che dalla pazienza degli elementi della pianeta.

I diamanti, ad esempio, nascono nel mantello, un luogo di pressione schiacciante e calore inimmaginabile. 

La loro formazione avvenne, stando a ci che si sa, molto prima che i continenti stessi si stabilizzassero. 

Trasportati verso l'alto da antiche eruzioni vulcaniche, sono saliti all'interno della kimberlite, una roccia così dura che funge sia da culla che da scudo. 

I camini e i dicchi di kimberlite, strette vene verticali, forma di carota, che perforano la crosta, sono i principali giacimenti di diamanti. 

Segnano le gole ghiacciate di vulcani spenti da tempo, i canali attraverso i quali la Terra un tempo sputava fuoco ed espelleva i suoi tesori nascosti. 

Eppure non tutta la kimberlite è gentile: per ognuno dei circa 9000 camini scoperti (di cui sono un migliaio contine diamanti e 50-60 ne hanno in quantita sufficienti per giustificarne economicamente l’estrazione), forse uno produce pietre che vale la pena recuperare. 

Il resto rimane un muto, sterile monumento all'inquieta chimica della Terra.

Nel tempo, vento, acqua e gravità erodono quegli antichi condotti, liberando le gemme dalla loro prigione e facendole rotolare lungo pendii e letti di fiumi. 

Lì viaggiano, a volte per centinaia di chilometri, levigate dal movimento e ordinate per densità, fino a quando non si depositano di nuovo in valli, delta o persino in mare. 

Questi sono i giacimenti secondari, dove l'erosione diventa la forza minatrice del pianeta. 

In essi, la natura compie la sua silenziosa alchimia, spogliando ciò che è indegno (il materiale meno resistente si frantuma travolto dagli elementi) e lasciando indietro le pietre più dure e perfette. 

È questo processo, chiamato smistamento fluviale, che concentra il grosso prezioso delle gemme e spiega perché diamanti, zaffiri e spinelli alluvionali spesso surclassino, in purezza e grandezza, i loro parenti sotterranei.

Tuttavia, la storia dei giacimenti è molto più ampia dei diamanti. 

I giacimenti primari possono derivare da quasi tutti i processi geologici: ignei, metamorfici o sedimentari . 

Le pegmatiti in Brasile ospitano topazi e tormaline; le fasce metamorfiche nell'Africa orientale producono tanzanite; le vene idrotermali in Colombia nascondono smeraldi nelle profondità delle rocce montuose. 

Persino i resti vulcanici, come quelli che hanno fornito peridoti e diamanti dal mantello, rientrano in queste fonti primordiali. 

Più vicino alla superficie, gemme sedimentarie come opale e turchese si formano in crepe e cavità della crosta, nate non dalla pressione ma da infiltrazioni, chimica e tempo.

Quando la crosta terrestre inizia a deteriorarsi, questi tesori vengono liberati. 

L'erosione li scolpisce in accumuli eluviali, colluviali e alluvionali: il vero e proprio scrigno del pianeta, organizzato da gravità, acqua e vento. 

I minerali pesanti con densità superiori a 2,8 o 2,9 g/cm³ – come diamanti, corindone e topazi – resistono al viaggio, mentre le pietre più morbide o leggere svaniscono lungo il percorso. 

Alcuni di questi accumuli diventano paleoplacer, reliquie di antichi fiumi scomparsi miliardi di anni fa. 

Il bacino del Witwatersrand, in Sudafrica, rimane uno degli esempi più antichi e ricchi, dove si sono depositati sedimenti d'oro e gemme tra 3,1 e 2,2 miliardi di anni fa.

I depositi eluviali sono concentrazioni di gemme che derivano dalla semplice disgregazione della roccia madre in situ: il materiale resta quasi dove si è formato e le gemme mostrano un trasporto minimo, risultando spesso angolose e poco usurate.

I depositi colluviali si formano quando le gemme vengono trascinate lungo i pendii dalla gravità, attraverso frane, smottamenti o il lento movimento del suolo. 

Il trasporto è breve, le gemme moderatamente arrotondate, e i giacimenti si accumulano ai piedi delle scarpate o lungo i versanti.

I depositi alluvionali derivano invece dal trasporto fluviale: fiumi e torrenti selezionano e concentrano minerali pesanti e resistenti lungo letti, barre e terrazze. 

Qui le gemme risultano generalmente ben arrotondate e possono essere state spostate anche per chilometri.

Nel linguaggio minerario, il termine placer indica qualsiasi deposito sedimentario in cui minerali densi (come oro, diamanti o zirconi) sono concentrati da processi meccanici, siano essi fluviali, costieri, eolici o colluviali.

Un paleoplacer è invece un antico placer ormai sepolto o litificato, che conserva la concentrazione originaria di minerali pesanti pur trovandosi, oggi, in un contesto geologico molto diverso dal paesaggio in cui si era formato.

Gli equivalenti moderni, i mega-placer (ancora più grandi), possono estendersi attraverso i continenti. 

Il sistema fluviale Orange-Vaal nell'Africa meridionale ha trasportato diamanti per quasi cento milioni di anni, scolpendo terrazze e spiagge che ancora oggi producono gemme. 

I forti venti, le tempeste hanno contribuito a spostarli ancora più lontano, concentrando i diamanti nei placer eolici (creati proprio dal vento) del deserto del Namib, dove le dune sussurrano su tesori più antichi dell'umanità stessa.

Mentre la maggior parte dei cristalli preziosi nascoscono dal “corpo” del mondo, alcune gemme hanno origini più delicate. 

L'ambra, ad esempio, è nata come resina che trasudava da alberi preistorici tra l'Eocene e l'Oligocene: come uscita da una luce solare fossilizzata, più leggera dell'acqua, essa è talvolta preziosa come l'oro. 

Altri, come le druse giganti di ametista che possono pesare quintali, ci ricordano che la portata dell'arte della natura sfida la nostra immaginazione.

Ogni giacimento racconta la stessa storia: creazione, distruzione e rinnovamento. Le pietre che indossiamo hanno viaggiato attraverso fuoco, ghiaccio, fiumi e deserti per giungere fino a noi. 

Sono frammenti di un antico ciclo che collega le profondità del pianeta alla superficie e quindi, alle nostre vite a dimostrazione che la bellezza non si trova, ma si rivela, uno strato alla volta.

....e la ricerca continua, sempre più profonda, rischiosa e impegnativa a ogni nuova scoperta. 

Perché nel mondo delle gemme, la profondità non misura solo la distanza; misura il desiderio.

3. Profondità e pericolo: fin dove si scava per appagare il gusto estetico?

Quanto sono profonde le miniere moderne, quanto costano, quanto tempo ci vuole e quali sono le macchine mostruose che lo rendono possibile.

Nella Virgin Valley, in Nevada, è possibile trascorrere un pomeriggio alla ricerca di rari opali di fuoco neri, mentre i visitatori di Coalinga, in California, possono setacciare il terreno alla ricerca di frammenti della gemma ufficiale dello stato, la benitoite. 

Al Crater of Diamonds State Park, in Arkansas, gli aspiranti cercatori di gemme pagano solo 10 dollari per andare a caccia delle pietre più ricercate al mondo, i diamanti. 

Inutile dire che i ritrovamenti importanti, di gemme di valore, sono estremamente rari, tuttavia il piacere e la speranza di beccare il “jackpot” della gemmologia è un’attrazione forte per molti.

Ognuna di queste escursioni richiede poco più di semplici utensili manuali, visto che il materiale da scovare si trova a portata di mano. 

La maggior parte delle pietre preziose, tuttavia, ha origine tra i 5 e i 40 chilometri di profondità e alcune si estendono molto più in profondità e quindi non sono così semplici da recuperarle.

Ma quali sono le pietre preziose che si trovano più in profondità e come giungono in superficie?

Il processo di formazione di molte gemme rimane in parte enigmatico, ma gli esperimenti di laboratorio confermano che numerosi minerali cristallizzano solo sotto pressioni eccezionalmente elevate. 

Le tecniche di sintesi sviluppate per produrre gemme artificiali offrono un’importante finestra su questi meccanismi, permettendoci di riprodurre, e quindi comprendere meglio, le condizioni estreme presenti nelle profondità terrestri.

I diamanti, ad esempio, normalmente hanno origine nel mantello superiore, tra 150 e 300 km nel sottosuolo, dove la pressione supera facilmente le 20.000 atmosfere. 

Per fortuna non è necessario scavare a tali profondità: i processi geologici, attraverso il movimento di rocce e minerali provenienti dal profondo, trasportano occasionalmente questi cristalli fino alla superficie. 

In quanto estremamente duri e stabili, i diamanti diventano così autentici messaggeri degli abissi.

Per molto tempo, il diamante ha condiviso il primato di gemma più “profonda” con il peridoto, la varietà gemma dell’olivina, minerale che costituisce oltre metà del mantello superiore, esteso dalla base della crosta fino a circa 410 km. 

Tuttavia, nel 2016 gli scienziati hanno identificato una serie di diamanti super-profondi, provenienti da circa 660 km; un ulteriore gruppo, descritto nel 2021, è stato stimato provenire addirittura da 750 km.

Per ottenere queste profondità, i ricercatori hanno analizzato i modelli di cristallizzazione e soprattutto le inclusioni, minuscoli frammenti di minerali o fluidi intrappolati nei diamanti al momento della loro crescita. 

La presenza di bridgmanite, il minerale più abbondante del mantello inferiore, e di leghe fuse di ferro, nichel, carbonio e zolfo ha indicato che questi cristalli si sono probabilmente compattati nel mantello inferiore, composto, appunto, per circa il 75% da bridgmanite, e che si sono sviluppati in un ambiente di metallo liquido avvolto da metano. 

A tali profondità, la pressione può superare le 235.000 atmosfere.

Si ritiene, anche se non con assoluta certezza, che molti diamanti siano estremamente antichi. 

Alcune stime indicano che quelli oggi rinvenuti in superficie potrebbero essersi formati fino a 3,5 miliardi di anni fa, mentre altri sono molto più giovani, talvolta dell’ordine di pochi milioni di anni. 

La loro longevità è legata alla stabilità del reticolo cristallino del carbonio: i diamanti si formano sotto pressioni immense, e occorre una forza eccezionale per romperne i legami. 

Tuttavia, se riscaldati oltre 900 °C, tendono a trasformarsi nel polimorfo più stabile in condizioni superficiali, la grafite.

Un esempio particolarmente affascinante del valore scientifico dei diamanti viene da alcune inclusioni microscopiche trovate in rare gemme provenienti dalla zona di transizione del mantello (410–660 km). 

All’interno di questi diamanti è stato identificato il minerale ringwoodite, una fase ad alta pressione dell’olivina che non può esistere stabilmente sulla superficie. 

La ringwoodite scoperta conteneva una percentuale significativa di gruppi ossidrilici (OH–), prova diretta dell’esistenza, a quelle profondità, di enormi quantità d’acqua intrappolate nella struttura cristallina dei minerali del mantello — una forma di “oceani profondi” del tutto diversa da quelli superficiali: non liquidi a bacino libero, ma acqua legata ai reticoli minerali, probabilmente in quantità paragonabili o superiori ai mari terrestri.

Queste informazioni non provengono da perforazioni da record, poiché nemmeno il pozzo di Kola, in Russia, il più profondo mai realizzato dall’uomo, si è avvicinato al mantello: con i suoi 12,6 km, rappresenta solo una minuscola frazione della distanza che ci separa dalle zone in cui questi minerali preziosi si formano realmente.

A portarli in superficie è invece un tipo particolare di magma altamente volatile: la kimberlite. Le eruzioni kimberlitiche possono raggiungere velocità superiori a 40-50 m/s (145 -180 Km/h), trascinando con sé diamanti e frammenti di roccia del mantello. 

Così, gemme formate nel corso di miliardi di anni vengono trasportate verso l’esterno in tempi estremamente rapidi: tipicamente da una a quattro ore.

Oltre alla loro bellezza e alla notevole durezza, qualità che li rendono preziosi anche in ambito industriale, ad esempio per utensili da taglio o abrasivi, i diamanti sono veri e propri archivi naturali del profondo. 

In molti casi rappresentano “le uniche testimonianze dirette della composizione interna della Terra e dei processi che vi avvengono”. 

La loro analisi ha svelato aspetti chiave dell’evoluzione terrestre: ha mostrato che la Terra primordiale non aveva un’attività tettonica simile a quella attuale; ha inoltre rivelato la presenza di carbonio di origine fotosintetica, indicando che il ciclo del carbonio arriva molto più in profondità di quanto un tempo si credesse; e, più recentemente, come accennato qui sopra,ha fornito prove dell’esistenza di acqua nel mantello profondo, oltre alla scoperta di minerali mai osservati prima.

I diamanti, dunque, oltre al loro valore estetico, possiedono un valore scientifico straordinario, che li rende preziosi per la ricerca quanto, se non più, per la gemmologia. 

Queste considerazioni sulla profondità della loro formazione offrono un punto di partenza utile per comprendere un principio più generale: molte gemme si formano a livelli sotterranei inferiori molto diversi da quelle alle quali vengono poi effettivamente estratte.

Per inquadrare questo fenomeno, è utile richiamare gli intervalli tipici associati ai principali tipi di deposito:

Gli intervalli di profondità riportati di seguito si basano sulle principali miniere e sulla letteratura relativa ai diversi stili di deposito:

  • Tubi di kimberlite (diamanti): estrazione da ~0 m nei depositi alluvionali/placer superficiali; fossi a cielo aperto da decine a centinaia di metri; miniere sotterranee moderne >400 m, con estensioni previste fino a ~800+ m (ad es. Jwaneng e altre).
  • Ghiaie alluvionali/placer (zaffiri, rubini, oro): estrazione da ~0 m (placer superficiali); lavorazioni tipiche 1–20 m; in alcune miniere storiche diverse decine di metri.
  • Sacche di pegmatite (tormalina, acquamarina, spodumene, ecc.): affioramenti da pochi metri a ~30 m nelle attività artigianali; miniere commerciali a cielo aperto o sotterranee raramente oltre le poche decine di metri.
  • Vene e fratture idrotermali (smeraldi colombiani): da pozzi superficiali a gallerie sotterranee che raggiungono decine o centinaia di metri, a seconda del sistema di vene e della miniera.

La profondità di formazione di una gemma e quella di estrazione possono divergere in modo sostanziale, poiché i processi che generano i minerali avvengono spesso decine o centinaia di chilometri sotto la superficie, mentre quelli che li rendono accessibili sono molto più superficiali.

Ad esempio, zaffiri e rubini (corindoni) cristallizzano in condizioni di alta pressione e temperatura nel basamento crostale o alla base della crosta, generalmente a 10–30 km di profondità. 

Tuttavia, vengono estratti in superficie o a pochi metri di profondità grazie all’erosione, che libera i cristalli dalle rocce ospiti e li concentra in depositi alluvionali o eluviali, come avviene in Sri Lanka, Madagascar e Australia.

Situazione simile per molti berilli (inclusi smeraldo, acquamarina e morganite): la maggior parte si forma a profondità relativamente modeste, 5–20 km, in pegmatiti o sistemi idrotermali, ma l’estrazione avviene quasi sempre entro i primi 50–300 metri di profondità, oppure in cave a cielo aperto (come in Brasile o Zambia). 

I topazi seguono uno schema analogo: si originano in pegmatiti profonde, ma vengono recuperati in depositi secondari molto superficiali. 

Al contrario, gemme come la tanzanite mostrano un rapporto più diretto tra formazione ed estrazione: i cristalli si originano in contesti metamorfico-tectonici profondi (circa 5–15 km) e vengono estratti relativamente vicino alla loro posizione originale, in miniere sotterranee comunque poco profonde in termini geologici (circa 100–900 m, nel distretto di Merelani). 

I diamanti, invece, rappresentano l’esempio più estremo: si formano a 150–300 km (o anche molto oltre nel caso dei diamanti super-profondi), ma vengono estratti da tubi di kimberlite che li hanno trasportati rapidamente verso la superficie, dove l’estrazione raramente supera 1–1,2 km. 

Questi confronti mostrano come i processi tettonici, ignei e sedimentari possano disaccoppiare profondamente il luogo di formazione di una gemma dal punto in cui essa diventa raggiungibile all’uomo.

Articolo di: Dario Marchiori
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